La pazienza di Umberto Bossì
Che bella lezione di pazienza e politica quando il Senatur, in carrozzina e cravatta verde, e sceso a Roma per votare. Per il presidente di una Repubblica da cui voleva secedere. Ma che rispetta più di tanti altri. E di Berlusconi, ha detto con un lampo: "E' coraggioso, ma non ha pazienza"
Se i cronachisti umorali della Repubblica, quelli che compilano schede biografiche come fossero sentenze, avessero avuto (avessero sempre, come norma assoluta) un po’ di pazienza, cioè intelligenza, non avrebbero dovuto ieri ricredersi, o fare finta di niente. Ieri, quando il vecchio Senatùr Umberto Bossi, malandato ma col sigaro tra i denti, che da quasi tre anni non si muoveva da Gemonio, s’è fatto spingere in carrozzina fino a Montecitorio, la cravatta verde, la pochette verde. Per votare il presidente della Repubblica. Lui che dalla Repubblica voleva secedere, lui che aveva 300 mila insorti su nelle valli contro Roma ladrona. Invece ieri Bossi era lì, facendo uno sforzo sanitario senz’altro più ingente di quello non fatto dalla no vax come si chiama, e uno sforzo politico maggiore di tante burbette alla prima chiama, per quella Repubblica contro cui ha sempre alzato il vocione. A chi gli chiedeva pronostico, ha detto furbo che “Draghi è un nome che può uscire alla fine”. E a chi gli chiedeva del suo amico-nemico-amico, ha disegnato col sigaro un lampo d’intelligenza: “Berlusconi ha una grande dote, è un uomo coraggioso, ma la dote che gli manca è la pazienza”. Politico di razza.