contro mastro ciliegia
Giuseppi, Zelensky, Di Maio (e il povero Moro)
Conte si è sempre ispirato a Moro, a parole. Ma la sua assenza in Parlamento, i suoi scarica barile sul nuovo avversario Gigino e i concetti indistinti sulla guerra sono quanto di più distante si possa immaginare dallo statista di via Fani
C’è che non c’era, e la cosa non è passata inosservata, per quanto variamente interpretata. Parlamentare non è, non aveva l’obbligo di firma. Ma è pur sempre un ex bis presidente, e dunque una seggiola di alta rappresentanza la doveva almeno scaldare. Ma Giuseppi Conte è siffatto, che da quanto è asceso alla politica non fa che ripetere che il suo modello è Aldo Moro. Ma alla sottigliezza di Moro, al suo non perdere mai la coerenza, Conte contrappone il caos dell’indistinto e del furbesco: “Una guerra non decide chi ha ragione ma chi sopravvive”, diceva ieri al Corriere, citando Bertrand Russel, sublime confusionario del resto ma utile a traccheggiare: “Io invidio chi, di fronte a un’escalation bellica, sfodera certezze assolute”.
Perché Conte è siffatto, che quando gli chiedono come mai il suo governo abbia medagliato il russo che ora minaccia Guerini, scarica medaglia e barile sul suo nuovo nemico, Gigino: “Non ricordo in particolare il nominativo di questo Paramonov, ma dai riscontri effettuati risulta che gli sono state consegnate su proposta del ministro degli Esteri e che la consegna della stella d’Italia è stata concessa dal ministero degli Esteri senza coinvolgere la presidenza del Consiglio”. Che in effetti, fosse stato lui al posto di Moro, a via Fani non trovavano nessuno. Scappava prima.