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contro mastro ciliegia

Imboscati e eroi. Una lezione delle democrazie

Maurizio Crippa

"Senso" è la storia di un disertore, ma ci ha insegnato l'amor di patria. Coraggiosi e codardi sono sempre esistiti, anche tra i Grandi. Ma la ridicola candid camera del figlio di Peskov che non vuole arruolarsi spiega bene una cosa: si può combattere, e rischiare la propria vita, soltanto se si è liberi

Va di moda dire “patria” e combattere per lei, ma quando lo dicono Mad Vlad e i suoi scherani ha un puzzo osceno, e lo spettacolo dei ragazzi russi arrestati oppure in fuga dalla tirannia è l’unico deodorante di cui disponiamo. Non ci può essere vera patria dalla parte sbagliata della storia, è chiaro. Ma la memoria tende a farsi i percorsi suoi, diventa un’immagine di velluto di Visconti che ci racconta come al centro del più risorgimentale dei racconti del Risorgimento, Senso di Boito, ci sia proprio un pavido disertore, un imboscato, il tenente austriaco Franz Mahler, e che senza la sua bassezza né la contessa Livia né noi avremmo capito altrettanto bene cosa sia l’amor di patria. Eroi e disertori, soldati che fanno il loro dovere e furbi imboscati sono la trama della storia, sempre. Che si sia tra i buoni o tra i cattivi. Ma i figli dei re, dei presidenti, dei grand commis della nazione dovrebbero sfoggiare maggiore responsabilità. Lo scherzo telefonico finito in tv a Nikolaj Peskov, figlio del potente portavoce del Cremlino (“Lei è stato arruolato per la guerra”, “Lei deve capire che io sono il signor Peskov. Non è previsto che io venga arruolato”) è una cosa successa ovunque e tante volte. Per un principe Andrea (prima di essere duca di Pork) imbarcato per le Falkland, per un principe Harry militare in Afghanistan, per un JFK che, già riformato, si fa lo stesso arruolare, ci può essere un Clinton che il Wsj denunciò come imboscato durante il Vietnam, e la stessa denuncia d’infamia sfiorò George W. Bush. Ma nel caso del signor Nikolaj Peskov, di un rampollo della nomenklatura più coinvolta, più oscenamente gratificata dalla retorica della guerra, dell’invasione che non è invasione ma “difesa della Russia minacciata”, c’è un surplus di senso, e non quello di Visconti: a parte la ridicola e meschina figura da candid camera, dimostra una volta ancora che da una parte c’è una cultura della libertà e della responsabilità, persino militarista e con i suoi anacronismi, come alla parate di Londra, ma che non scappa e non cerca sotterfugi quando c’è da difendere la democrazia. Dall’altra non c’è libertà, né stato, né responsabilità. La vigliaccheria è la logica della tirannia.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"