contro mastro ciliegia
Addio Sinisa, la tigre
Ora che il suo lungo addio è terminato, tutti preferiscono ricordare le punizioni, il coraggio, l'ironia. Ma c'è un Mihajlovic più affascinante, intelligente e perciò più urtante, perché non perdonava né si perdonava niente. Come la guerra quell'amicizia con Zeljko. Dall'altra parte c'era D'Alema, facile capire con chi stare
Ho un pregiudizio positivo verso i serbi, non avendone mai conosciuti dirà qualcuno. Che importa, credo mi basti Kusturica, o il vecchio saggio Boškov. Conta molto l’ironia e una dose di surrealismo naturale, conta il timore reverenziale che può incuterti uno che mentre fa una battuta azzeccata potrebbe scatenarti contro una pulizia etnica. Sinisa Mihajlovic era così, uno che avresti sempre preferito giocasse nella tua squadra, che trovartelo contro. Il suo è stato un lungo addio, e tutti vogliono ricordare l’aspetto migliore: le punizioni, il coraggio, l’ironia.
Poi c’è il Mihajlovic più affascinante, intelligente e perciò più urtante, perché non perdonava né si perdonava niente. Oggi l’ho ritrovato soltanto in una vecchia bella intervista di Marco Imarisio per il Corriere. Una delle poche a chiedergli a viso aperto della Serbia, della guerra: “Sono un uomo controverso e divisivo, si dice così? E ci ho messo anche io del mio. Dicevo cose che potevo tenere per me. Ma se faccio una cazzata, e ne ho fatte tante, mi prendo le mie responsabilità”. Quando morì Arkan fece un necrologio che gli attirò critiche, “ma era per il mio amico Zeljko, non per il comandante Arkan”. Ripensando che da una parte c’era lui, e dall’altra D’Alema, è facile sapere con chi stare. Buon viaggio.