contro mastro ciliegia
Il caso Orlandi, summa di tutte le bufale, tormento ed estasi del Vaticano
La banda della Magliana, i Lupi grigi, lo Ior, Marcinkus, le fatture... nulla che le indagini non abbiano cestinato. Ora la Santa Sede riapre il caso. Da quarant’anni dentro le Mura leonine non fanno altro che credere al primo venuto o friggere nei tormenti per un fatto di cronaca che, magari, potrebbe non riguardarli nemmeno
Leggi sul Corriere di un tale Marco Accetti, “reo confesso del sequestro Orlandi-Gregori” (dunque il caso è stato risolto? E non avvisano?), ma siccome manco Stefano Nazzi che fa i podcast criminali potrebbe ricordarsi chi è, controlli. E scopri che è un borderline il cui racconto i pm liquidarono come una “sceneggiatura fantasiosa”. Il caso Orlandi è da quarant’anni così. E poiché dopo quarant’anni persino i segugi confondono le piste, è un pasticcio in cui a ogni indizio sbagliato corrisponde un’interpretazione sballata del cronista di turno. E’ così dall’inizio.
Uno si chiede perché il caso di Mirella Gregori, la quindicenne romana sparita in una situazione analoga addirittura 40 giorni prima, si sia trascinato come un’appendice minore. Semplice: Mirella non era cittadina vaticana, a tirarla in mezzo furono indizi vaghi e tardivi e le balle di Ali Agca. Ma forse è solo una delle migliaia di adolescenti che ogni anno scompaiono in Italia e non vengono più ritrovate. Nel 2020, per dire, 7.473 persone sparite nel nulla. E se il caso di Manuela Orlandi fosse legato a quello di Mirella Gregori semplicemente per una terribile statistica? Sarebbe insomma materia per “Chi l’ha visto?”. Non fosse che quando Federica Sciarelli se ne occupò ottenne solo di scatenare una nuova variante del virus: fu a lei che arrivò la famosa telefonata che tirava in ballo la banda della Magliana e indusse a scoperchiare, invano, la tomba di Renatino De Pedis. Poi i Lupi grigi, lo Ior, Marcinkus, le fatture pagate per decenni a case e cliniche di Londra: nulla che le indagini, per quanto di standard tremendamente da Prima Repubblica, non abbiano cestinato. Tanto che nel 2015 la piantarono lì anche i magistrati italiani.
Adesso però nuovi indizi, o meglio per ora siamo fermi ai “WhatsApp di alti prelati” (un alto prelato che manda WhatsApp dovrebbero sospenderlo a divinis per manifesta demenza) hanno indotto Francesco a riaprire il caso. Lui che nel 2015 era già Papa, quando Pignatone decise di smetterla. Da quarant’anni dentro le Mura leonine non fanno altro che infilarsi in pasticci, inventarsi alibi o credere al primo venuto, distribuire autoindulgenze o friggere nei tormenti per un fatto di cronaca che, magari, potrebbe non riguardare nemmeno il Vaticano. O che, se lo riguardasse, avrebbe potuto essere chiuso da decenni.
A questo punto, Bergoglio farebbe meglio a chiedere aiuto al suo amico Borges: il vate cieco ci vedrebbe più chiaro di qualsiasi Promotore di Giustizia. Quattro decenni fra il tormento e l’estasi, il dubbio di avere un assassino nei Sacri Palazzi e l’ambizione di fare tutti santi subito. Dimenticando, soprattutto, il mirabile insegnamento di Leone X: “Poiché Dio ci ha dato il papato, godiamocelo”.