Contro mastro ciliegia
Un fantasma putinista dev'essersi impossessato di Repubblica (e della Stampa)
Guardando la prima pagina del giornale di Molinari, una domanda è venuta: perché utilizzare l’espressione che i russi usano dall’inizio del conflitto per inoculare paura nelle cancellerie e opinioni pubbliche occidentali?
Come nelle più riuscite sedute spiritiche, uno spiritello maligno dev’essere penetrato nella redazione di Repubblica, giocando cattivi scherzi anche all’austero Maurizio Molinari, uomo refrattario alle diavolerie. Lo spirito che si è impossessato ieri della prima pagina è quello di Jeffrey Sachs, economista leftist e harvardiano che al suo primo apparire aveva scritto che a scatenare la guerra era stato “il tentativo degli Usa di espandere la Nato”. E ieri, giorno benedetto dei tank, Rep. titolava: “Escalation”. La parola cara a Putin.
Che succede a Repubblica? Forse niente, anzi probabile, del resto la geopolitica giornalistica è una ars combinatoria in cui tutti i concetti possono essere ribaltati e quando serve si può giocare il jolly, evocando “l’ora più buia dell’orologio atomico”, altra minaccia tipica putiniana, e poi domani parlare di visite del Papa. A Repubblica insomma si va a braccio, come in ogni giornale. Ma ultimamente al Gruppo Gedi l’ars combinatoria permette di girare a piacimento il “catasto universale dei concetti” e far diventare l’Avvocato un filo putiniano o scatenare, dalla fatal Torino, il Circo Massimo di Giannini. Che ieri in podcast, si direbbe posseduto pure lui, sgomentava l’ascoltatore evocando la “piega netta, chiara, inequivocabile” presa dal conflitto. Cosicché anche per il direttore della Stampa la parola del giorno era “escalation”: “Dobbiamo sapere che se continua così l’escalation ci porterà a un bivio drammatico, per non dire tragico”. Il titolo: “Convivere con Putin o morire per Kiev”.
Sarà la geopolitica combinatoria, sarà lo spiritello di Sachs, ma ieri davanti alla foto del fuoco sputato da un carroarmato e a quella unica parola cubitale, “Escalation”, una domanda è venuta: perché utilizzare l’espressione che i russi usano dall’inizio del conflitto per inoculare paura nelle cancellerie e opinioni pubbliche occidentali? Se è una presa di posizione, sembra andare dalla parte inversa a quella fin qui seguita. Due titoli non fanno nemmeno un indizio, ovvio, ma è curioso che sulla prima di Rep. di ieri fosse evocato un altro spiritello malevolo, il giochino dell’Orologio Atomico. Si tratta di un conteggio simbolico che un gruppo di scienziati americani ripropone ogni anno, per sensibilizzare alla possibile apocalisse nucleare. Il giochetto si fa dal 1947, non se l’è mai filato nessuno. E non si capisce bene perché quest’anno abbia tanto impressionato. Il bravo Romagnoli, incaricato della spiega, fa del suo meglio per seminare un po’ di scetticismo sulla notizia allarmata: quest’anno mancano solo 90 secondi alla fine. E nota che “al tradizionale uso dell’inglese sono stati aggiunti il russo e l’ucraino”, insomma anche gli scienziati la buttano in geopolitica. “Ma la vera domanda è un’altra”, scrive, “è davvero questo il problema?”.
La domanda importante è un’altra ancora: perché, ancora una volta, far gravitare sull’opinione pubblica, sui lettori, un altro concetto putiniano? Perché in questo anno a evocare la bomba atomica, la guerra nucleare, non è stato Zelensky, non la Nato, non l’Europa tranne qualche fesso à la Rizzo. È la propaganda di Putin a farlo, cercando di alzare la posta dello scontro e lo spavento. Perché allora usare quelle parole, Escalation, “l’ora più buia dell’orologio atomico” se si sa, si dovrebbe sapere, che quel linguaggio è propaganda russa o paci-finta. Senza domandarsi che cosa rimanga di quei titoli, nella testa della persone. Ma non si vorrebbe che lo spiritello che ha posseduto i direttori fosse non quello di Sachs, ma quello addirittura di Avvenire. Che ieri titolava, prendendo come un castigo di Dio il giochetto da Guerra fredda: “Ultimi 90 secondi”. E questa sì che sarebbe per Rep. una escalation preoccupante.