Contro mastro ciliegia
La chiave e i matti. Cosa resta della psichiatra uccisa
La morte di Barbara Capovani, aggredita dal paziente che aveva dimesso, scopre il panorama di macerie della salute mentale in Italia. La legge Basaglia non funziona più
Barbara Capovani era un medico psichiatra, responsabile del Servizio psichiatrico del Santa Chiara di Pisa. Bravissima, appassionata del suo lavoro con malati non facili da curare, solare. E’ stata aggredita e uccisa da un ex paziente psichiatrico, Gianluca Paul Seung. Un fatto tragico, secondo alcuni evitabile, ma non è chiaro come; secondo altri la solita tragedia annunciata, colpa dei tagli alla sanità (dunque responsabili anche degli psicopatici che uccidono). In ogni caso. Dal Corriere si apprende che, secondo i colleghi, la morte era evitabile perché Seung non era malato, ma in grado di intendere e volere, quindi “doveva stare in carcere”. Dunque la psichiatria gentile, se mai è esistita, non funziona più. Dalla Stampa si apprende invece che Seung era malato e andava curato ma non si riesce, e in ogni caso l’unica soluzione è sempre la stessa: psichiatria gentile. Quando la polvere sollevata dalla morte non accidentale di Barbara Capovani si sarà posata, il panorama di macerie ci mostrerà questo: che chi si occupa di curare rischia la vita, ma nessuno sa che farci; che la legge Basaglia non funziona più, se mai lo ha fatto; che anche i medici, e non solo i politici “di destra”, incominciano a dire che per certe persone c’è solo il carcere, e buttare la chiave. Progressi.