Contro mastro ciliegia
Il climate Burning, che ridere in Nevada
70 mila al festival del Burning Man sono rimasti impantanati per le piogge torrenziali. La loro filosofia hippie, comunitarista ed ecologista non deve aver funzionato: organizzatori e autorità gli hanno detto di sloggiare e di cavarsela da solì. Erano stati più bravi i loro nonni a Woodstock
Settembre, andiamo. E’ finita l’estate più calda della storia, in cui era il caldo e non i piromani a scatenare gli incendi e ogni nubifragio era uragano (ma comunque lo chiami è colpa di Figliuolo che non paga i danni). L’estate in cui il clima s’è fatto superstizione. Per festeggiare, però, c’è un finale che fa riderissimo. I 70 mila radunati nel deserto del Nevada a nord di Reno per il festival del Burning Man (si brucia un grande pupazzo di legno per celebrare la sopravvivenza dell’uomo e ingraziarsi chissà quale dio della Natura) sono rimaste letteralmente impantanate per colpa di piogge torrenziali che evidentemente il pupazzo non ha scongiurato.
Il Burning è il pronipote dei raduni hippie, “radicale espressione di fiducia in sé” e libera creatività. Ogni partecipante deve portarsi attrezzatura, cibo e acqua, il baratto e il dono sono le uniche monete ammesse. Però poi il biglietto costa 400 dollari: una specie di Coachella dei povery. Ma il bello è che i 70 mila sono stati abbandonati a sé stessi, organizzatori e autorità gli hanno detto di sloggiare coi propri mezzi, giravano coi sacchetti di plastica al posto delle scarpe. I loro nonni a Woodstock cantavano “No rain!” e venne il sole. Loro strillavano contro il climate change, e sono affondati nella palta. Settembre, andiamo.