Contro Mastro Ciliegia
Esselunga manda tutti ai matti
Uno spot persino normale, ma tutti ci vedono la pesca avvelenata della tradizione
L’ultima psicopatologia di quelli che se vedono una famiglia tradizionale danno fuori di testa perché, in filigrana, intravedono la sagoma della Meloni (sono mamma, sono Giorgia) è una ridicola sindrome maniaco-compulsiva: d’un tratto, tarantolati dalle immagini di uno spot, si credono tutti semiologi della pubblicità. Di pubblicità non sanno ovviamente un tubo (basta leggere i loro tuìt), però come dei miracolati di Roland Barthes si sentono in grado di decostruire un normalissimo spot Esselunga che mette in scena una mamma e un papà, per quanto modernamente separati, e in mezzo una bimba. C’è una pesca (del supermercato) trasformata in esca narrativa, un MacGuffin che funziona. Apriti cielo, manco fosse una mela avvelenata.
I semio-psicotici d’un tratto si scoprono cazzuti critici militanti, tipo quelli che Nanni Moretti sbertucciava nei suoi film: che schifo, che orrore, strillano. E’ una la famiglia tradizionale! Sono separati, ma ovviamente non basta: almeno potevano essere una coppia mista. Qualcuno, davvero, ha trovato pure l’aggravante che siano riconoscibili come milanesi, no Lampedusa. Anzi milanesi in macchina. E in più, si mettono in mezzo i minori. La bimba-non messaggera d’amore, ma solo trasportatrice di vellutata pesca, l’abbiamo vista in almeno sette milioni di family comedy, e il bambino-motore mobile degli acquisti e dunque della ritrovata felicità famigliare è un archetipo più potente del Puer Aureus, è un postulato del buon funzionamento delle democrazie occidentali. Ma in questi caso no, perbacco: qui, davanti allo scandaloso, insinuante raccontino dell’Esselunga, qualsiasi fesso da social media è in grado di sgamare il raccapricciante sottotesto meloniano: qui si allude a una famiglia tradizionale (separata, sì, ma separarsi non basta più). Non si proverà nemmeno a suggerire, come altra lettura critico-narrativa, che se a far volteggiare i propri sentimenti un po’ malinconico-flou attorno a una pesca che scorre sul nastro della cassa, che finisce nella borsa, ci fossero invece i membri di una famiglia non tradizionale, lo spot verrebbe candidato all’Oscar e al Leone di Venezia e trasmesso nelle scuole come un film di Garrone.
Non proveremo nemmeno a dirlo, mica siamo kamikaze. Ci si limiterà però a ricordare, ad uso dei nuovi critici-ayatollah della pubblicità, che per decenni interi abbiamo sorbito pubblicità supermercatesche non meno truffalde, come quella del supermercato che sei tu, anche se poi erano loro; o gli spot aggiornati alla moda green che se fai la spesa da noi salvi pure l’ambiente, anche se ti porti a casa tonnellate di plastica per alimenti; o quelli da paese dei borghi che se vieni a fare la spesa da noi allora vuoi bene anche a tutta la comunità (tà-tà). Di queste scemenze, gli psico-semiologi non si sono mai occupati. Ma se invece arriva la Meloni, travestita da mamma separata di una bambina imbronciata (eh sì, la bimba separata è rappresentata imbronciata: che poca inclusivité, che volgarité!), porgendo al pubblico consumatore ed elettore la pesca avvelenata della tradizione, allora apriti scemo.
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