contro mastro ciliegia
Piccoli borghi della Cultura
Viva la Capitale della Cultura. Ma deve essere una città, e possibilmente con le spalle grosse per riceve invesimenti e farli fruttare. Su sedici candidati per il 2026, nove sono incantevoli piccoli borghi. Bel paesaggio italiano, ma forse una capitale è una cosa diversa
Il Belpaese ci è sempre piaciutissimo, figurasi, anche prima della moda sovranista. I piccoli borghi poi, tutti ma proprio tutti uguali sui cocuzzoli delle zone interne, manco a parlarne. Adorabili. Meritevoli tutti di essere capitali, nella nazione dei mille campanili; e capitali di Cultura, va da sé. Salutate Bergamo e Brescia, il prossimo anno toccherà a Pesaro e poi ad Agrigento. E ora ci sono le nuove sedici città che hanno presentato “manifestazione di interesse” per il 2026. Bene, tranne che: su sedici, ben nove città non sono, ma incantevoli borghi appunto. C’è persino l’Unione dei Comuni Valdichiana Senese e quella Montana dei Comuni della Valtiberina Toscana. Lo possono reggere, un anno da Capitale della Cultura? E chi finanzia, e per fare che?
Bergamo e Brescia, ricchine di loro, hanno avuto, solo dalla Regione, 12 milioni di finanziamenti. Ad Agnone, Isernia, forse avrebbero difficoltà pure a spenderli. Dicono gli esperti che un anno è troppo poco per concretizzare gli investimenti, ma senza investimenti stabilizzati le Capitali della Cultura diventano un bonus a perdere di denaro pubblico. Noi il paese dei piccoli borghi della cultura l’abbiamo sempre amatissimo. Però, perché?