contro mastro ciliegia
Tamaro e il fattore "f" (fascista)
Sul Corriere la scrittrice ha raccontato una sua storia dolorosa e sconcertante: le accuse proseguite trent'anni di essere "fascista", solo per aver parlato delle foibe, lei di origine triestina, in un romanzo. Sembra incredibile, ma purtoppo l'Italia è un paese così, che odia ferocemente, ma nascondendosi dalla parte del bene
Molti auguri a Susanna Tamaro di pronta guarigione dal suo incidente di qualche tempo fa; non glieli avevo fatti in precedenza, del resto non mi sono mai granché incrociato, in biografie anagrafiche quasi parallele, con lei e i suoi libri. Mi ha colpito però ieri, sul Corriere, una sua lunga riflessione-confessione su qualcosa che le ha fatto male, e più di un incidente, e per trent’anni, quasi una vita. L’accusa, da un giorno con l’altro, di essere “fascista”. La lettera “f.”, peggio di una lettera scarlatta.
“E’ sufficiente dunque parlare di un fatto storico avvenuto in un paese comunista per essere classificata come f. nel 1997, quando la storia aveva già iniziato a svelare molte tragedie?”. Il fatto storico erano le foibe, lei è triestina, e altri terribili come il lager dell’isola di Goli Otok, dove furono rinchiusi persino comunisti non graditi a Tito. Ne parlava in un romanzo, Anima Mundi. “Una mattina ho visto il mio cognome sul muro con su scritto ‘a morte’”. Non so se Tamaro ci abbia insistito un po’ troppo, nella sua vita e carriera e in questa retrospettiva. Eppure sì, è un paese così: che odia ma dalla parte dei buoni, e alle vittime al massimo suggerisce di vestirsi più eleganti. Buona guarigione a tutti.