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La fuga di Giacomo Bozzoli, condannato per l'omicidio dello zio Mario, e il giornalismo d'evasione
In un paese la cui ignoranza giuridica può misurarsi su quella dell’Avvocato del campo elastico, per il quale Matteotti fu ucciso a Bologna nel 2026, può succedere di tutto. Persino che i giornali si infiammino perché “un condannato all’ergastolo è fuggito” (per parafrasare un magnifico film di Bresson). Con ricostruzioni del seguente tenore: “La grande fuga all’estero pianificata da tempo in ogni dettaglio. Braccato in tutta Europa con moglie e figlio. La beffa dell’arresto mancato: per quasi nove anni ha recitato il ruolo dell’imputato modello”. Dimenticando, quanto meno, che il diritto alla fuga non è mai stato negato nemmeno al tempo di Caino.
Soprattutto, nel caso dell’ergastolo confermato in Cassazione a Giacomo Bozzoli per aver ucciso lo zio imprenditore, è lo stesso giudice che lo indagò, Pier Luigi Maria Dell’Osso, a spiegare al Corriere perché è giusto che fosse a piede libero, e non c’è scandalo: “I presupposti per un arresto, una misura cautelare, si valutano strada facendo, momento per momento”.
Certo, il senno di poi, ma “se non sbaglio ha anche partecipato a tutte le udienze, così come mi risulta che fino ad alcuni giorni fa fosse rintracciabile e presente”. C’era “impossibilità di agire, visto che era un uomo libero”. Ora è fuggito, ne aveva diritto.
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