Consigli più o meno pratici per onorare feste e banchetti natalizi. Ma prima: Iò Saturnalia!

Alessandro Giuli
Giovedì sarà festa grande, per la ricorrenza dei Saturnalia. Che non sono quelle esibizioni lascive e carnascialesche descritte, travisandone il significato, dagli antipatizzanti negli ultimi millenni, tutt’altro.

    Giovedì sarà festa grande, per la ricorrenza dei Saturnalia. Che non sono quelle esibizioni lascive e carnascialesche descritte, travisandone il significato, dagli antipatizzanti negli ultimi millenni, tutt’altro. E’ la celebrazione gioiosa (Iò Saturnalia!) e rituale di un’età mitica di pace e pienezza luminosa, l’età dell’oro nella quale, è vero, non esistevano schiavi né patroni e tutto era lucente, misurato, felice. Per questo in antico i nostri padri solennizzavano l’occasione consentendo alla servitù di parteciparvi insieme con i cittadini liberi e gli aristocratici perfino. Chi ha ricevuto in dono la trasmissione di un sapere non volgare, sa che non si tratta di ritualizzare un’immaginaria e lontana uguaglianza ma di propiziare l’elevazione della nostra natura inferiore (l’io servile, preda della concupiscenza e delle passioni incontrollate) al livello dell’intelletto superiore: il patronus, il nous dei neoplatonici, l’anima scettrata degli stoici (in greco: hegemonikòn) la cui sede è nel cuore, ovvero nella radura in cui s’incontrano il cardo e il decumano della nostra città interiore. E così rinasce la rosa mistica, e così rivive il regno del latente dio Saturno, in attesa che il Sole in Capricorno (solstizio d’inverno) esca dal buio e, transitato per la Porta degli dèi (Deva-Yana, dicono gli amici hindu; Deorum-Ianua diciamo noi), torni a percorrere la via ascendente della volta celeste.

     

    All’atto pratico si festeggia banchettando fra sodali e famigliari, accompagnati dalla luce di candele in cera d’api, e ci si scambiano doni semplici dal colore e a volte anche dal sapore di miele. Ma banchettare è una cosa non da poco: ogni pasto è un rito che lega, perché crea e rafforza vincoli d’appartenenza, fedeltà gentilizia, comunione di spiriti: è condivisione di sangue, origine, destino. Fondamentale è il ruolo del fuoco, il simbolo vivente di un centro intorno al quale orbita la comunità riunita, se non addirittura la presenza tangibile dell’avo primigenio, del lare famigliare. Insomma a tavola non si è mai soli, per questo non sta bene iniziare il pasto senza aver prima fissato nel silenzio la consapevolezza d’essere in compagnia, ed è sempre consigliabile non consumare per intero il cibo della propria mensa: forze senza forma (per lo meno in apparenza), amichevoli intelligenze disincarnate, o anche soltanto il corpo psichico di una pietas ancestrale sedimentata nel corso delle generazioni, s’incaricheranno di completare il nostro banchetto e sapranno come sdebitarsi con noi. Perciò, a tavola, bisogna evitare di mandar giù i cattivi pensieri, le maldicenze, i ricordi o i propositi funesti, assieme alle varie pietanze. Le peggiori intossicazioni alimentari sono provocate da quei “contorni” che non si vedono ma vengono uditi, pronunciati e desiderati dalla parte peggiore dei commensali.

     

    Ed ecco il punto: per quanto possibile, sopra tutto bisogna scegliersi bene i propri sodali, non si può pasteggiare con chiunque, sarebbe offensivo per se stessi e per il quisque de populo presente ma fuori posto, l’ipocrisia finirebbe per oscurare il senso dell’occasione. “Eventus docet”, insegna Quinto Fabio Massimo, appartenente a una delle più antiche e nobili genti romane. E l’esperienza insegna appunto che, nelle riunioni di famiglia convocate per onorare il culto privato gentilizio – i Giulii a Bovillae, i Fabii sul Quirinale, i Valerii a Satricum, i Mamilii a Tuscolo e così via – era sbarrato l’ingresso agli allogeni, cioè agli appartenenti ad altra gens; pena l’inevitabile  perturbatio e lo scontento degli avi. 

     

    Il giusto simposio prevede una corona di partecipanti omogenea, ispirata dall’idem sentire e stretta intorno alla potestà di un paterfamilias. Un po’ come avveniva un tempo per le ricorrenze principali nelle vite campestri, nei pagi e nelle dimore arcaiche dei popoli italici. Talvolta si può estendere l’invito ai compagni d’arme e agli stranieri più degni, se posti sotto la tutela di Giove Ospitale (Zeus Xenios, patrono dei forestieri). Mi è capitato sia in Grecia, nelle vesti di xenios, sia in Italia come ospitante: introdotto da una libagione omerica a base di vino (ma nei primordi era sufficiente il niveo latte o l’acqua di sorgente) e meglio ancora se dedicata a Concordia, una dea indispensabile di cui oggi gli occidentali hanno lancinante bisogno, il pasto prevede pane, formaggio, olive, carne pura ma solo in circostanze speciali… Nelle cerchie iniziatiche come ad esempio i sodalizi orfici e pitagorici da cui attinse il re Numa Pompilio – lui secondo le fonti antiche si riuniva con la ninfa-consigliera Egeria, titolare dell’omonima acqua, sotto la cui veste si nascondeva al volgo una Eterìa, o convito di sapienti –, il simposio perfetto è come il rito perfetto: non lascia tracce perché si fonda su un modo particolare di assumere l’alimento base della cerimonia, un modo contemplativo e direi olfattivo, in cui la vibrazione comune scaturisce da essenze floreali, erbe scelte con cura e incensi e resine. Ma non è di questo che sto parlando qui. Anzi: i Saturnalia sono una festa pubblica segnata sui Fasti dell’Urbe, sul Kalendarium che viene dal verbo kalare, chiamare (a raccolta). Parliamo dunque di una festa civica prima ancora che privata e famigliare, come quelle che ci attendono anche al Natalis e alle kalendae di gennaio (Capodanno). Sicché il simposio gentilizio dovrebbe cedere il passo d’onore al banchetto cittadino, laddove vi sia una res publica autentica. In mancanza di ciò, so per certo che Saturno si accontenterà delle poche ma rischiaranti fiamme private, accese da famiglie e sodalità discrete. Nel mio caso c’è un valore aggiunto, poiché il 17 dicembre di molti anni fa, ante diem sextum decimum Kalendas Ianuarias, mio nonno Giulio Cesare Augusto (vaste programme…) è tornato alla casa degli avi. Proprio nel giorno di Saturno: Iò Saturnalia!