Tra Umberto Eco e Ida Magli preferisco D. H. Lawrence, cantore del Serpente piumato

Alessandro Giuli

    I morti hanno sempre le loro ragioni, quali che siano le cose brutte o belle da loro fatte in vita, ma come è noto non sono più in grado di esprimerle. Per questo diffido sempre di chi, post eventum, sopra tutto se si abbia a che fare con persone celebri, stabilisce di regolare i conti con chi non può replicare. Vale anche con Umberto Eco e Ida Magli, naturalmente, la cui scomparsa in queste ore sta movimentando i cuori e le viscere di mondi diversi, secondo alcuni non paragonabili tra loro per dignità di studi e presentabilità culturale (lo dicono a vantaggio di Eco…). Detto questo mi contraddico subito. Perché condivido appieno quel che lo studioso pitagorico Gennaro D’Uva scrisse a proposito di Eco sul periodico La Cittadella nel 2005 (l’articolo è stato rimesso in circolazione l’altroieri dall’amico Sandro Consolato). Titolo: “Eco si sbaglia, per Giove!”. D’Uva reagiva sdegnato di fronte al contenuto d’una Bustina di Minerva (che dea paziente, Minerva, per sopportare tanta temerarietà…) nella quale Eco bestemmiava con (pessimo) gusto il nome degli Dei: “E’ lecito – scrive Eco – che io vada in giro imprecando ‘Porco Giove!’ e ‘Puttana Venere’? Se a me piace è lecito, perché non ci sono più pagani in giro e non offendo la sensibilità di nessuno (anche se un dotto amico mi ha suggerito che offenderei quella di Roberto Calasso).

     

    Invece, se pure fossi l’ateo più radicale, il più feroce degli anticlericali, massone e mazziniano, sarebbe lecito che io andassi in giro imprecando al Dio d’Israele, alla Beatissima Vergine e a tutti i Santi? Dipende dalle leggi del paese in cui mi trovo, ma in ogni caso sarei maleducato, volgare e prevaricatore, perché offenderei la sensibilità di molti che mi ascoltano e per cui queste cose sono sacre”. Bergoglio sarebbe stato d’accordo con lui, a giudicare da come ha reagito alla mattanza di Charlie Hebdo. Io sono invece d’accordo con Gennaro D’Uva (e, chissà, magari anche con Roberto Calasso) quando ammonisce così: “Sia prudente Eco a evocare le ‘profezie che si autodeterminano’, poiché tra tali profezie se ne annoverano anche di paganissime, alcune delle quali, su cui il tacere è bello, hanno lasciato delle tracce anche nella nostra migliore letteratura nazionale. Per esempio, in Gabriele D’Annunzio, segnatamente nella raccolta Maia (1903), ove in una poesia, Saluto al Maestro, dedicata a Enotrio Romano (noto pseudonimo assunto da Giosuè Carducci) e riecheggiante le odi Nell’annuale della fondazione di Roma e Alle fonti del Clitumno, si legge:

     

    O padre, verrà quel gran giorno
    che ci promise il tuo canto!
    Ad ogni alba gli Archi dell’Urbe
    sembrano vomire la notte
    accidiosa […].
    E gli Archi, ecco, aspettano i nuovi
    trionfi, perché tu cantasti:
    ‘O Italia, o Roma! quel giorno
    tonerà il cielo sul Fòro’.

    Tonerà il cielo sul Fòro
    liberato d’ogni congerie
    vile, d’ogni cenere e polve,
    restituito per sempre
    nella maestà de’ suoi segni;
    ed al fonte pio di Diuturna
    scoppieranno le acque lustrali,
    e da ogni luogo arido vene
    di acque, e torrenti di vita
    nelle solitudini prone
    dell’Agro, nell’imperiale
    deserto, da tutte le tombe;
    e tutte le vèrtebre fosche
    degli acquedotti saranno
    Archi di Trionfo per mille
    Volontà erette su carri;
    e la croce del Galileo
    di rosse chiome gittata
    sarà nelle oscure favisse
    del Campidoglio, e finito
    nel mondo il suo regno per sempre.

    E quella sua vergine madre,
    vestita di cupa doglianza,
    solcata di lacrime il vólto,
    trafitta il cuore da spade
    immote con l’else deserte,
    si dissolverà come nube
    innanzi alla Dea ritornante
    dal florido mare onde nacque
    pura come il fiore salino
    portata dai zèfiri carchi
    di pòlline e di melodia
    là dove l’antico suo figlio
    approdò coi fati di Roma
    e disse: ‘Qui è la patria’.
    Tonerà il cielo sul Fòro.
    I grandi Pensieri e le grandi
    Opere saran coronati,
    deità novelle, nell’Urbe.

     

    E’ proprio vero – conclude D’Uva – che, presto o tardi, certe ‘profezie’ si autodeterminano, modificando potentemente la realtà. E i ‘pochi’ pagani di oggi, che di sicuro non si aspettano le scuse dall’egregio Eco, quasi quasi… ci credono”. Quorum ego.

     

    Avevo parecchi motivi per non amare Umberto Eco e nessuno per antipatizzare con Ida Magli. Tuttavia non mi convince affatto il piagnisteo reazionario delle prefiche che ora la commemorano in nome di un’identità occidentale tutta da discernere, a meno di voler sembrare Donald Trump. Né mi piace chi, trascurando la sua militanza per “l’eversore” Nazareno, plaude al suo tratto giudeofobico – “Gli Ebrei si sono messi da soli nella condizione di non essere creduti e di non essere amati affermando che loro sono il popolo prediletto”, in foglimariani.it ma sopra tutto ne “Il mulino di Ofelia”, Bur – e ne canonizza senza riserve l’ostilità all’immigrazione. A costoro dedico una frase esemplare ritrovata ne “Il Serpente piumato” di D. H. Lawrence (Mondadori): “Per sfortuna gli stranieri fanno diventare i messicani peggiori di quello che siano per natura. E il Messico, o qualcosa che c’è nel Messico, fa certo diventare gli stranieri peggio di quel che non siano a casa loro”.
    Ecco, sostituiamo “Messico” e “messicani” con “Italia” e “italiani”, ci gioverà rifletterci.