Le Idi di marzo, la festa licenziosa di Anna Perenna (prosit!), il nostro ingresso nell'età adulta

Alessandro Giuli

    Oggi sono le Idi di marzo e i più attenti fra gli uomini antichi ricorderanno l’uccisione di Caio Giulio Cesare. Alcuni lo faranno, come di consueto, recando offerte floreali presso il tempio del Divo nel Foro romano oppure ai piedi della sua statua bronzea lungo la via dei Fori imperiali. Nulla da obiettare, ma preferisco che si onorino anniversari più luminosi e meno cruenti, nel caso di Cesare per esempio c’è il 20 luglio, data nella quale apparve il così detto Sidus Iulium, la cometa in cui si volle ammirare l’ascenso stellato del dictator appena scomparso dal mondo sensibile. Ovvero, visto che da Augusto in poi la Gens Iulia e la Res Publica s’identificano, volendo omaggiare Cesare si può sempre visitare il tempio capitolino di Vediovis – nume gentilizio degli Iulii – in occasione delle sue solennità, il 7 marzo.

     

    Ma a proposito: oggi è anche la festa di Anna Perenna, la Luce terrestre congiunta al fuoco divino di Marte o a quello eroico di Ercole, e che nella mitistoria romana (teste Ovidio) corrisponde a una vecchierella di Bovillae dispensatrice di focacce alla plebe affamata insediatasi sul Monte Sacro durante la secessione del 494 a.e.v. Ha scritto al riguardo l’insigne storico delle religioni Dario Sabbatucci: “Aver dato Bovillae come paese natale all’Anna Perenna che ha nutrito la plebe romana doveva avere un senso preciso tanto per Ovidio quanto per i suoi lettori-ascoltatori. Noi glielo daremmo ricordando che Bovillae era la sede di un culto della Gens Giulia, ossia della famiglia imperiale. Insomma, suggeriremmo di completare così l’equiparazione proposta sopra: Anna che fornisce cibo garantisce l’esistenza del popolo romano, come l’annona, come Cerere, e come – diciamo adesso – la Gens Giulia nelle cui mani si son venuti a trovare i destini di Roma” (“La religione di Roma antica”, il Saggiatore, 1988). Ben detto, ma c’è forse dell’altro? Vediamo.

     

    Come è noto, nel festum geniale di Anna Perenna i plebei (solo loro? Mmm) facevano scampagnate lungo le sponde del Tevere, improvvisavano banchetti, danze e grandi bevute libando tanti e tanti e tanti calici di vino (o altrettanti sorsi, aggiungo io tenendomi un po’ più aderente al principio di realtà) quanti si auguravano dovessero essere ancora gli anni, i lustri, i decenni di vita a venire… Di qui la formula dell’Annaperennare, che evidentemente rinvia alla Perennitas e cioè a un tempo illimitato a partire però da un punto iniziale (se non vi fosse, parleremmo di Aeternitas, che è l’essenza atemporale di Roma), quasi un capodanno. Ora, guarda caso, Cesare è stato ucciso o ha lasciato che lo smembrassero come Romolo appunto in questo giorno, come da monito dell’aruspice capo Spurinna (“Guardati dalle Idi di marzo!” – ne ho già scritto qui), il sacerdote etrusco appartenente a un lignaggio tarquiniense che aveva una certa dimestichezza con i sacrifici umani di capi nemici (un suo avo aveva immolato ad Apollo-Vediovis il capo dei Liparesi Teodoto, il cui nome significa “Dono degli Dei” o “per gli Dei”, una specie di Divus locale del V secolo a.e.v). Considerata poi l’equazione tra sangue e vino, per legge di analogia magica si può pensare che, dall’anno della morte di Cesare in poi, nel giorno di Anna i cives dovessero annaperennare più o meno consapevolmente anche le perenni virtù salvifiche irradiate a beneficio dell’Urbe da un così potente omicidio rituale. Senza dimenticarci che Cesare fu capo indiscusso della fazione (i populares) più incline a proteggere le istanze della plebe attraverso elargizioni annonarie e di terra per i veterani delle legioni. Che si beva con spensieratezza, dunque, alla Salus Caesaris invece di confondere la sua apoteosi per un banale fattaccio.

     

    Sempre in tema di bevute e di frugifere presenze cereali, giovedì 17 ricorre la festa del dio Libero (Liberalia), il nume che, insieme con il suo corteggio di sacerdotesse incoronate d’edera e dispensatrici di libae (le focacce di Anna Perenna!), accompagna i fanciulli nell’ingresso all’età adulta mediante l’assunzione della toga virile. “E’ insomma la libertà che si otteneva … quando si passava dalla condizione di già liberi a quella di cives. Il dio Liber che, a livello divino, riproduceva l’istituto romano della libertà, era a un tempo l’adolescente che entrava a far parte della civitas e il padre che tale ingresso promuoveva” (Sabbatucci). Identificato con Dioniso-Bacco, affiancato a Cerere e Libera (Proserpina) nella triade plebea titolare d’un santuario sull’Aventino, Liber è il nume della fermentazione-maturazione d’ogni fuoco liquido, compreso quello seminale dei ragazzi giunti all’età fecondativa. In chiave cosmicizzante, potremmo spingerci un po’ oltre immaginando che il cesaricidio rappresenti pure il prologo dell’ingresso di Roma storica nell’età adulta, quella imperiale, la cui toga virile coincide con il principato augusteo.
    Piano col vino, tuttavia. Non va mai trascurato il fatto che l’uso del vinum – il cui nome proviene dalla stessa radice di Venus, venia e venenum – a Roma è posto sotto il regale controllo di Giove, nume civico e garante supremo della Res Publica al quale sono consacrate le Idi e perciò anche questo giorno di apparente licenziosità. Al punto che il sacrificio di giovedì in onore di Libero viene celebrato proprio sul Campidoglio. Prosit.