SDM, l'incantevole gloria del Foglio, il senso di una militanza animalista poco negoziabile, Borges e Camilla

Alessandro Giuli

Giuliano Ferrara ha ragione: “Una delle poche ma sicure glorie di questo giornale, nato all’estremo limite del Novecento, è di aver temperato nelle sue pagine e nella sua vita di gruppo, nella sua per così dire umanità, il tocco e la sensibilità di tanta gente ferita e incantata dal passato, dal comunismo, dal fascismo, dal cattolicesimo, dal liberalismo e da non so che altro, tanti volterriani, qualche prete di cui Stefano (a volte) si fidava”. Stefano Di Michele, eretico del cristianesimo, in quel Foglio era perfettamente a proprio agio. E fra le sue variopinte caratteristiche, sue di Stefano, c’era anche una militanza animalista (tendenza gattolicesimo) e vegetariana declinata con cocciuta dolcezza, spesso non negoziabile ma esibita sempre con ironia, perciò invincibile anche quando sembrava palesemente sconfitta dai dati di realtà. Godibilissime sono state le schermaglie atticiste tra lui e l’Elefantino, carnivoro non animalista eppur devoto alle tre sue cagnette, nella rubrica delle lettere.

 

E’ per questa ragione che, seppur certo che non li condividerebbe per intero, oggi dedico a SDM alcuni passi tratti da “La carne degli animali”, il prezioso capitoletto di un libro appena uscito: “Oracoli che sbagliano. Un dialogo su antichi e moderni. Modi di pensare e di agire che crediamo superati ma che hanno ancora un valore per noi oggi”, Edizioni il Primo amore. Gli autori sono Carla Benedetti, docente all’Università di Pisa, studiosa di Letteratura contemporanea, e l’antichista Maurizio Bettini dell’Università di Siena, di cui ho recensito non da molto sul Foglio “Il dio elegante” (Einaudi). I due si confrontano su tanti di quei temi, e così interessanti, che qui si può soltanto circoscriverne uno, gli animali appunto. Cito: Benedetti: “Abbiamo visto i danni provocati dal passaggio dal politeismo al monoteismo… Aggiungerei, a questo punto, anche l’antropocentrismo che forse è una delle sciagure della nostra epoca. Gli antichi sembrano avere un rapporto diverso con il mondo animale, che non concepivano separato dal loro…”.

 

Bettini: “Del resto così sta scritto esplicitamente nel mito delle origini stesse del mondo, degli uomini, degli animali, la Genesi: l’uomo (solo l’uomo) è creato a immagine e somiglianza di Dio, perché ‘domini’ su tutti gli animali. Riguardo agli animali, c’è anzi un’affermazione di Agostino che mi pare molto significativa: ‘Non si può sapere se il gemito di un animale sia un canto o un lamento. Chi può sapere se i suoni che gli animali emettono quando pensiamo che soffrano, non solo non esprimano dolore, ma addirittura una qualche forma di piacere?’… secondo un’inchiesta fatta anni fa in America, per esempio, molti bambini pensano seriamente che il pollo nasca sotto il cellophane, nella vaschetta dei supermercati”… “Nel mondo greco e romano si uccide l’animale non solo per nutrirsi, ma anche per scopi religiosi, per offrirlo alla divinità… Dopo il sacrificio la carne della vittima veniva consumata dagli uomini, o comunque venduta al mercato. In questo senso si stabiliva una forma di continuità fra uccisione religiosa dell’animale e consumazione della sua carne a scopo alimentare. E anzi, si creava una sorta di commensalità col divino, mangiare la carne dell’animale non significava soltanto nutrirsi ma anche partecipare a una sorta di rituale”.

 

Aggiungo questo: nella visione antica dei padri nostri, già di suo il sacrificio cruento era percepito come una via lontana dalla perfezione delle origini, e cioè quando la divinità nell’uomo era tale da consentirgli di dialogare e stringere patti con i numi senza spargimento di sangue; l’immolazione di animali era curata con esattezza e rispetto, e orientata da una scienza della natura che imponeva di allevare a parte le vittime predestinate, in modo da renderle più sane e felici di altri esseri, nella certezza che a quegli animali offerti agli dèi si stava anche concedendo una possibilità vitale ulteriore, e in un regno superiore. Sono cose difficili da comprendere oggi. Sebbene il discorso sul divieto alimentare carneo proprio del pitagorismo sia più articolato di quanto abbozza Bettini, le sue parole non sono errate: “Cicerone sosteneva anzi che secondo Pitagora ed Empedocle – e siamo fra VI e V secolo a.C. – tutti gli esseri viventi hanno uguali ‘diritti’, e che chiunque violi un animale dovrà temere pene inespiabili. E pensare che a noi moderni il problema dei ‘diritti’ degli animali sembra qualcosa di nuovo”.

 

Su questo punto SDM era senz’altro concorde col moderno Bettini, il quale ci dice che “il poeta romano Ennio sosteneva che l’anima di Omero era trasmigrata in lui dopo esser passata attraverso un pavone”. Il che mi fa pensare al grande Apollonio di Tiana, il quale assai più modestamente confidava d’essere la reincarnazione di un barcarolo egiziano: un bell’esempio di virtù, agli occhi dei fanatici del reincarnazionismo (altra cosa rispetto alla palingenesi dei realizzati) sempre a caccia di esistenze precedenti contrassegnate da fama e importanza per lo meno fantasmatiche. Sempre il saggio Apollonio, giunto a Efeso flagellata dalla peste, s’imbatté in un vecchio cencioso che si fingeva cieco e arringò la folla: “Raccogliete quante più pietre vi riesce, e lapidate questo essere nemico agli dèi ”. Dopo la lapidazione fatale, la peste fuggì e quel vecchio si rivelò un dèmone dall’aspetto canino che vomitava schiuma. Se alcuni animali sembrano racchiudere anime semiumane, in certuni esseri dalle fattezze umane abitano invece dèmoni mostruosi come cani grigi dalle bocche gialle di bava, che nulla hanno a che vedere con i nostri amici discesi dai lupi. SDM adesso potrebbe sentenziare che, dei suoi gatti, Borges era senz’altro la reincarnazione di un poetico tiranno sudamericano. E Camilla? Destinata a tornare sulla terra come una ninfa. Amos chissà. Ciao Ste’.

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