Dici Lewinsky e alcuni si guardano attorno inconsapevoli. Ma la nostalgia fa vincere le elezioni

Paola Peduzzi
Gli anni Novanta sono stati i più belli di sempre, il decennio dell'abbondanza e della rivoluzione progressista, e in nome di questa comprovata supremazia sono da sempre pronta a dichiarare guerra, uno scontro di civiltà con i “boots on the ground” se necessario. Certo che sei nostalgica, dicono alc

Gli anni Novanta sono stati i più belli di sempre, il decennio dell’abbondanza e della rivoluzione progressista, e in nome di questa comprovata supremazia sono da sempre pronta a dichiarare guerra, uno scontro di civiltà con i “boots on the ground” se necessario. Certo che sei nostalgica, dicono alcuni avversari temerari: allora eri ragazza e hai nostalgia della tua giovinezza. A parte che non rivivrei quegli anni per nulla al mondo, questa non è affatto una faccenda personale. Come ha scritto Kurt Andersen sul New York Times domenica, gli anni Novanta sono in effetti stati eccezionali, felici, prosperi, vivaci, innovatori, creativi (parla dell’America ovviamente): ci sono i numeri a dimostrarlo, prove empiriche con tanto di grafici e linee che sparano verso l’alto. “Pace, prosperità, ordine”, ma anche (l’elenco è di Andersen) i Nirvana, Harry Potter, Donna Tartt, “Pulp Fiction”, le serie tv, e – beati loro – il caffè di Starbucks.

 

Ci sono tanti altri motivi per cui gli anni Novanta sono stati unici e indimenticabili, ma è strano che in quest’elenco manchi uno degli eventi più importanti, quello che ha reso i “Nineties” gli anni liberi e libertini, ché è allora che s’è verificato il più grande scandalo politico-sessuale della storia moderna: la Lewinsky, le bugie, le lacrime, l’impeachment. Oggi ci tormentiamo sulle trimestrali e i vincoli di bilancio e per sopravvivere a una cena devi almeno sapere a quanto ammonta il deficit francese, quando allora bastava avere le idee chiare su Britney Spears, sulle Nike pump, sui sigari, su cosa fosse definibile come “relazione sessuale”, e su quanto fosse più o meno “inappropriato” averne una con la stagista.

 

I ragazzi che andranno a votare per la prima volta nel 2016 alle presidenziali americane sono nati nel 1998. Per loro Hillary Clinton, se mai si candiderà, è l’autrice dell’hashtag #GrandmothersKnowBest, la nonna che dice che bisogna vaccinarsi contro il morbillo. Per loro Monica Lewinsky è una signora di quarant’anni risbucata dal nulla di recente, dopo che la sua carriera fulminea è iniziata e finita con uno stage alla Casa Bianca (ottenuto grazie a una raccomandazione e durante il quale molto spesso il compito era portare le pizze nello Studio ovale). Loro non conoscono l’attesa, non sanno che nella famosa conferenza stampa in cui Bill Clinton, allora presidente degli Stati Uniti, disse per la prima volta la sua grande bugia, “non ho mai avuto una relazione sessuale con quella donna”, aveva parlato per un tempo infinito, con la voce già roca, l’aria già colpevole e Hillary vestita di giallo al suo fianco, di quanto siano lunghi e pericolosi i pomeriggi da soli per i ragazzini che hanno i genitori che lavorano. Loro non possono avere memoria della prima volta che è stato mostrato il vestito blu, la pistola fumante, dello choc nel sapere che era stato custodito, intatto, per anni, soltanto per poter un giorno dire: questo è lo sperma del presidente. Loro non possono nemmeno immaginare che allora “il dovere patriottico” era quello che l’amica della Lewinsky, Linda Tripp, sentiva di dover compiere sputtanando in modo definitivo e inapellabile la Casa Bianca (aveva ottenuto le prove registrando segretamente le conversazioni con l’amica, e noi qui a scandalizzarci quando ci ritroviamo su Facebook una foto inviata “segretamente” al fidanzato). Loro non sanno di come abbiamo imparato ad appassionarci alla politica americana quando, tutto d’un tratto, ogni dispaccio che arrivava da quella parte di mondo conteneva un’allusione ai pompini, alle distrazioni di Clinton, alla pettinatura di Hillary (oggi sarebbe sessismo parlare dell’acconciatura di una donna quando questa era costretta ad ascoltare il marito che si dilungava sulla sua interpretazione del “fare sesso”, non le ho mai toccato nulla di intimo, quindi è meno grave), alla pericolosità delle stagiste (dire “sono stagista” era come una dichiarazione d’intenti sessuali: l’odio che circolò per Monica è ancora oggi imbarazzante). Loro non ricordano nulla, fanno fatica a rimettere insieme i pezzi dello scandalo, Bill Clinton è un nonno imbambolato dal primo nipotino e Hillary una signora che nel frattempo ha fatto tanti lavori, anche piuttosto bene, soprattutto come segretario di stato. Interrogati dai sondaggisti, dicono di ricordare qualcosa, parlano vagamente di impeachment, e non sono nemmeno interessati alla faccenda.
Non sappiamo ancora se è un bene che la candidata alla Casa Bianca sia percepita come una nonna rassicurante e che il tempo abbia oscurato i dettagli sconvolgenti di quella storia. Certo è che ognuno ha lo scandalo che si merita, e se pensiamo ai politici americani che scappano con l’amante e dicono di essere andati a fare trekking o a quell’altro che posta su Twitter foto del suo pacco e poi riesce a sostenere che il suo account è stato hackerato, non ero io era un altro con su le mie mutande, la nostalgia diventa consapevolezza. Gli anni Novanta sono stati il decennio più bello di sempre – e guardatela bene la nonnina: pensavano di piegarla con il disprezzo che si riserva alle cornute, e invece non è mai stata così forte.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi