Generi, figlie, mogli. Ma per decifrare il trumpismo bisogna guardare soprattutto ai padri
C’è un aneddoto meraviglioso che Ivanka raccontò qualche anno fa a un giornalista per dimostrare che si è tutti molto affiatati in casa Trump, fratelli, genitori, ex, allargati e contenti, ma che la competitività è il sale della famiglia
Non c’è gara tra suoceri, nella nuova first family d’America, Donald Trump vince tutto anche qui, con la generosità che riserva a Jared, il marito dell’adorata figlia Ivanka, “l’arma speciale” del neopresidente degli Stati Uniti, ma ecco anche il suocero di Ivanka, il consuocero di Trump, non andrebbe sottovalutato. In questa storia di padri amorevoli e disordinati che devono essere tenuti a bada da figli precisi e impeccabili, non poteva che entrare anche lui, Charles Kushner, papà di Jared, suocero di Ivanka. Da ultimo non si fa che favoleggiare su questa coppia d’oro giovane e bella e ricca e dedicatissima all’ascesa di Trump e molti commentatori – sì, continuiamo a seguirli anche se non ci hanno capito niente, prendiamo tutto come se fosse un enorme, imperdibile pettegolezzo – dicono che sia fondamentale decifrare Ivanka per poter capire qualcosa anche di Donald, come se la prima attività fosse più semplice della seconda. Per ora c’è un aneddoto meraviglioso che Ivanka raccontò qualche anno fa a un giornalista per dimostrare che si è tutti molto affiatati in casa Trump, fratelli, genitori, ex, allargati e contenti, ma che la competitività è il sale della famiglia: una volta Ivanka e Trump stavano facendo una gara di sci, scendevano velocissimi entrambi, ma a un certo punto la figlia si sentì tirare da una parte, non riusciva a capire che cosa fosse, finché non si accorse che il padre l’aveva arpionata con la racchetta e la stava spostando di lato, per poter passare avanti e vincere la gara. Uno potrebbe pensare che non ci sia molto di edificante in questa modalità d’educazione trumpiana, ma a parte che i genitori come fanno sbagliano, oggi Ivanka racconta l’episodio ridendo, non è rimasta traumatizzata – semmai ce l’ha con la madre, Ivana (e figurarsi se le figlie non se la prendono con le madri) che era severa, che la sculacciava, e che la spedì in una boarding school fuori New York in cui Ivanka si annoiava a morte e moriva di invidia per le amiche che se la spassavano a Manhattan.
Però, i suoceri. Ivanka ha un suocero che non è famosissimo ma neppure del tutto sconosciuto. Si chiama Charles Kushner, viene da una famiglia di sopravvissuti all’Olocausto di origine polacca, è cresciuto nello stato di New York, è sempre stato democratico prima della svolta necessariamente trumpiana, è diventato ricco nel real estate ma ha fatto un anno di prigione (la condanna era di due, uscì prima) dopo essere stato condannato in New Jersey per evasione fiscale, donazioni elettorali illecite e ritorsioni nei confronti di un testimone. Il testimone, nella fattispecie, era il cognato, marito della sorella, che aveva collaborato con l’Fbi: per vendicarsi, Charles assunse una prostituta, le diede mandato di sedurre il cognato e di filmare il momento preciso del successo della missione. Poi consegnò il video alla sorella. A svelare questo plot “sex-money” che in New Jersey si porta tantissimo fu l’allora procuratore Chris Christie, che abbiamo imparato a conoscere come governatore dello stato, fan del Boss, alleato di Obama nella gestione dell’uragano Sandy e infine trumpiano della prima ora. Poiché nel totonomine di Trump Christie è stato finora escluso – anche se da ultimo le sue quotazioni sono risalite – s’è detto che si è trattato della vendetta del suocero, quell’altro, quello che si è fatto beccare che evadeva il fisco.
C’è un’altra storia che riguarda Charles Kushner. Daniel Golden, direttore di ProPublica, scrisse una decina di anni fa un libro dal titolo “The Price of Admission”, in cui raccontava come i ricchi americani comprassero ai loro figli l’ingresso negli atenei più prestigiosi del paese, e le conseguenze per chi restava fuori. Golden scrisse che Charles Kushner aveva promesso 2,5 milioni di dollari di donazione ad Harvard non molto prima che il figlio Jared fosse ammesso in questa università Ivy League. Allora, Harvard accettava un richiedente ogni nove, oggi la media è uno ogni venti, ma alcuni amministratori di Harvard parlarono con Golden e gli confidarono che Jared non era affatto brillante, e che non soddisfaceva i requisiti necessari per l’ingresso. Oggi Golden ha ritirato fuori la storia, arricchendola con nuovi testimoni, ma i signori Kushner, genitori di Jared e di Joshua (anche il fratello è andato a Harvard) da sempre smentiscono, dicono di aver fatto donazioni all’ateneo per amore del sapere, non certo per aiutare i figli.
La verità? Chissà. Però ecco, oltre ai figli, alle figlie, ai generi, è bene ricordare che per decifrare Trump sempre dai padri bisogna passare.