Per la Brexit serve un divorzista
Più che di Brexitologi Londra avrebbe bisogno dei consigli della divorzista più famosa del Regno
La palla è nel tuo campo, figurati è nel tuo, non la vedi? Un’altra settimana “cruciale” per il negoziato sulla Brexit si è aperta con una metafora banale e rivelatoria: tra decine di “situation paper”, cinque round negoziali, studi forsennati tecnicamente avanzatissimi, le due squadre in campo non vedono la palla. O fingono di non vederla, che è più o meno la stessa cosa, perché significa che ognuno si aspetta una mossa dagli altri, e il gioco resta fermo. Theresa May, premier inglese, ieri ha parlato ai Comuni di questa palla, e ha invitato di nuovo gli europei a collaborazione e amicizia, per tentare insieme di dimostrare ai “catastrofisti” che sono in errore: dalla Brexit nasceranno fiori, piantatela di calpestare il prato seminato. Gli europei sembrano invero meno ottimisti, dicono che la collaborazione va dimostrata, così come l’amicizia, e quel che fa Londra non è sufficiente. La prossima settimana ci sarà la valutazione finale, tutta politica, su questa sufficienza: non saranno i documenti presentati a contare, ma la percezione della buona volontà degli inglesi. I quali continuano invece ad azzannarsi tra di loro, insaziabili, togliendo la credibilità al governo di Londra che sarebbe invece indispensabile per ottenere qualcosa di diverso da un grugnito da parte di Bruxelles.
La May deve ancora riprendersi dal discorso di conclusione della conferenza dei Tory, che si è tenuto mercoledì scorso, ma i media britannici non vogliono lasciarla stare: come si sa, il discorso è stato costellato da una serie di disavventure tra cui una tosse insistente, il cartello-slogan dietro le spalle della May che è venuto giù lettera per lettera, un comico che ha interrotto il premier consegnando una lettera di licenziamento “da parte di Boris Johnson”. May ha citato la sua visione del “British dream” e il risultato è un sito, BritishDrea.com, in cui si può inserire l’interpretazione che si vuole di questo sogno e vederla che si stacca dal muro. Poi c’è la solita lotta fratricida tra i Tory, con tanto di chat di Whatsapp pubblicate sui giornali in cui si complotta contro la May, finendo per far arrabbiare il complottardo in chief, il solito Boris Johnson, che ieri si è per l’ennesima volta distaccato da “questi” golpisti (chissà gli altri chi sono, e che cosa fanno). Comunque sia, hanno detto alcuni parlamentare conservatori al Telegraph, se anche la May licenziasse infine il ribelle Johnson, lui “direbbe di no, e lei che cosa potrebbe fare?”, che suona come una rivisitazione di “che fai, mi cacci?”. Tra un infantilismo e l’altro, i brexiters rilanciano: la May non dovrebbe licenziare Johnson, ma il suo cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, che è altrettanto ingestibile e che sta portando il premier verso una posizione di buon senso sulla Brexit, che quindi non piace ai falchi del divorzio dall’Unione europea. Intanto un parlamentare rischia di essere espulso dal famigerato gruppo Whatsapp perché – ha scritto il Mail on Sunday – ha detto che i tentati golpe sono “masturbazione politica” – che è un po’ la sintesi di quel che avviene quando non si sta più bene con nessuno, che siano i mariti, gli amanti, i premier in carica, i premier aspiranti, i sostenitori della Brexit dura e quelli della Brexit morbida.
Ecco perché, più che diventare tutti “Brexitologi”, professione ambitissima, si dovrebbe andare a scuola dagli avvocati divorzisti. Il Financial Times ha intervistato sabato nel suo “Lunch with” Sandra Davis, che ha gestito i divorzi più celebri del Regno Unito, da Diana a Mike Jagger, e che dice tre cose importanti: i divorzisti non sono una spalla su cui piangere (anche perché costano tanto), servono per fare le strategie migliori, non come confidenti; i divorzi sono tutti infelici, mai entrare in un divorzio facendo finta che non sia orribile; i matrimoni e i divorzi sono in alcuni aspetti molto simili, sono piante che hanno bisogno di acqua. “Le relazioni cambiano nel tempo e bisogna essere consapevoli dei cambiamenti”. Parlarsi è “la chiave”, per non trovarsi in un giorno come questo, in cui tutti sono impegnati in attività più o meno sterili, e non si sa dov’è finito l’innaffiatoio.