Time trova una coppia che se lo porta a casa
Il magazine diventa un affare di famiglia, l’investimento della coppia Benioff, Marc e Lynne, che gli dicono: pensa in grande, davvero in grande
Il magazine Time diventa un affare di famiglia, l’investimento della coppia Benioff, Marc e Lynne, che con centonovanta milioni di dollari vogliono salvare questo “tesoro della nostra storia e della nostra cultura”. L’acquisizione dalla società Meredith – che aveva comprato Time e altre testate, tra cui Fortune e Sport Illustrated, nel novembre dell’anno scorso con l’aiuto dei conservatorissimi fratelli Koch – è stata fatto a titolo personale: i Benioff ci tengono a dire che il business di famiglia, la Salesforce, non c’entra nulla e che loro non avranno alcun ruolo operativo nella gestione del magazine. E’ un salvataggio culturale, questo, scandito da un “think big, really big” che alza cuori, occhi e aspettative, in un settore abituato a perdite, fallimenti, bistrattamenti. Cosa saremo nel 2040?, ha chiesto il direttore di Time, Edward Felsenthal, quando ha comunicato la notizia alla redazione, dicendo che l’arrivo dei Benioff è un rilancio con vista sul futuro, dimentichiamoci questo vivacchiare quotidiano, pensiamo in grande, davvero in grande.
I Benioff si muovono in coppia, Marc e Lynne, visionari, filantropi, dei Bill&Melinda Gates più giovani e più pop, con il loro festival annuale che si chiama Dreamforce (si tiene la prossima settimana) che è orgoglio aziendale ma anche feste psichedeliche e concerti, la faccia buona e colorata del mondo tech. Marc Benioff – che è cugino di David Benioff, autore del Trono di spade: hanno in comune un nonno, il nonno Isaac – ha fondato la sua azienda nel 1999 e per poco l’avventura non è finita subito, una bella idea schiacciata dalla bolla internettiana in esplosione. Benioff sarebbe comunque caduto in piedi: era milionario già a venticinque anni, manager di Oracle protetto dal “padrone” Larry Ellison (con cui ha litigato quando è diventato il suo principale competitor: ora sono tornati in buoni rapporti), esperienze a Microsoft e ad Apple, con incontri e contagi virtuosi con Steve Jobs e un’adolescenza da prodigio: a 15 anni programmava videogiochi Atari. Benioff si sentiva un pioniere, e alla sua idea ci teneva: produrre software che non fossero installati sui computer.
Si chiama cloud computing software e Salesforce è diventata la compagnia di riferimento di questi prodotti, mentre attorno alla figura di Marc Benioff si costruiva non la solita immagine del visionario geniale partito dal garage di San Francisco e diventato grande a suon di ossessioni e follie, ma quella del “gigante della generosità”, un milionario tech buono, che rarità. Ha introdotto in azienda la regola 1-1-1, che obbliga le aziende a destinare l’un per cento all’equity, l’un per cento ai propri prodotti e l’un per cento del tempo dei propri dipendenti alla solidarietà. Oggi settecento aziende adottano questo metodo, anche Google per dire. Ma la generosità è ovunque, nei progetti per gli ospedali e in quelli per le comunità di San Francisco, con campagne nazionali a favore della marcia per la vita degli studenti contro le armi (aveva donato per la campagna di Hillary Clinton, nel 2016). Ora la filantropia tocca i media, settore in cui devi avere molta pazienza imprenditoriale, ma che sta diventando attrattivo per le star del mondo tech: c’è Jeff Bezos al Washington Post e c’è la moglie di Steve Jobs, Lauren Powell, all’Atlantic e con un’idea per un nuovo magazine. Ora è il momento di Time, patrimonio culturale più importante delle altre testate del gruppo Meredith che i Benioff non hanno voluto comprare – non si sa ora che fine faranno. Si pensa in grande un passo alla volta, con tutta la generosità possibile, la visione, le feste, la mondanità, il salto dentro a un business che è stato dato per morto molto spesso, e con una certa insistenza, e che invece si proietta addirittura nel 2040, esagerati.