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La lite come arma di governo? Seehofer dimostra che le risse non portano bene

Paola Peduzzi

Cosa insegna la storia politica del ministro dell’Interno tedesco che ha confermato di voler lasciare la guida della Csu bavarese

Horst Seehofer, ministro dell’Interno tedesco, ha confermato di voler lasciare la guida del suo partito, la Csu bavarese. Entro la fine della settimana, fornirà ulteriori dettagli temporali, ma dopo dieci anni e moltissime liti, la grande perdita di consensi alle ultime elezioni bavaresi non gli ha lasciato alternative. Probabilmente il suo posto sarà preso da Markus Söder, che ora è il “premier” bavarese e che da anni ha ingaggiato una lotta fratricida con Seehofer, fatta anche di colpi bassi, anzi soprattutto di colpi bassi.

 

Seehofer è tra i leader più litigiosi che ci siano in Europa: è emerso dalla scena bavarese a suon di scazzottate e una volta che è riuscito a ottenere un posto nel governo, un posto tanto importante come quello di ministro dell’Interno, si è preso a scazzottate con la sua capa, la cancelliera Angela Merkel. Prima dell’estate Seehofer ha minacciato di far cadere il governo sulla questione immigrazione, che come si sa è una materia che ha molto presa presso gli elettori (a proposito: vi ricordate la carovana di migranti in arrivo dal Sud America verso il confine con il Messico? Quella che è stata citata da Donald Trump in molti tweet prima del voto di settimana scorsa? Quella finanziata da Soros, per intenderci? Nell’ultima settimana, finita la campagna elettorale, è scomparsa dai media americani e dalla bocca di Trump!). In realtà la minaccia di Seehofer è durata molto poco, perché mentre faceva il muso duro alla Merkel i suoi colleghi di partito lo abbandonavano e la cancelliera pazientemente aspettava che lui si accorgesse del boomerang che gli stava arrivando in faccia. L’immigrazione ha creato non pochi problemi alla Merkel, e nel suo post – perché anche lei si è dimessa dalla presidenza del suo partito, la Cdu, e a dicembre si deciderà il successore – si discuterà molto della direzione che un partito di centrodestra oggi deve prendere su questo tema, ma la rissosità di Seehofer si è rivelata molto più dannosa per lui che per la stessa Merkel (per quanto riguarda l’immigrazione, come si sa, il flusso è molto diminuito, e le nuove norme allo studio in Germania si occupano di integrazione più che di accoglienza, cioè di non lasciar fuggire all’estero i cervelli degli immigrati). Ora anzi a Seehofer toccherà fare qualche mossa di buona volontà per mantenersi il posto al governo, visto che il peso specifico della Csu è molto diminuito – guida un governo di coalizione in Baviera, dopo aver perso dodici punti percentuali di consenso – e visto che ha perso ogni battaglia con la cancelliera. Persino il capo dei servizi, quell’Hans-Georg Maassen che la Merkel aveva licenziato e che Seehofer aveva riposizionato al suo ministero godendosi una piccola vittoria – so salvare i miei uomini – si è rivelato indifendibile, ed è stato definitivamente cacciato. Con tutta probabilità la Merkel non si è nemmeno presa la briga di far notare a Seehofer la cantonata presa, non è una che ama rimproverare quando l’errore è tanto evidente. Ma se c’è una cosa che il ministro dell’Interno tedesco ha mostrato bene è che le liti non sono una strategia politica, che prima di lanciare una guerra bisognerebbe vedere che armi si hanno in casa e che gli spauracchi come l’immigrazione possono fa presa per un po’, agitare per un po’, ma poi il trucco si vede, ed è ridicolo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi