Ora la May deve piazzare la sua Brexit decorosa
La premier contro chi le dice che lascia il Regno senza mutande
Ci avete tolto anche le mutande, dicono i brexiteers delusi, guardando con disprezzo gli europei e Theresa May, ormai complici e traditori insieme. Non capite niente, ribatte la premier, le mutande ci sono ancora, guardatele, sono qui, il punto del negoziato di Londra è proprio questo: vi ho dato, cari inglesi, cari brexiteers, il divorzio più decoroso che c’è, con i vostri diktat saremmo sì rimasti nudi, invece così siamo arrivati a un passo dall’indecenza e ci siamo fermati.
La Brexit decorosa non sarà facile da piazzare per la May, il “miglior accordo possibile” sa di ragionevolezza e maglioni accollati, non ha nulla a che vedere con tutto quel che è stato mostrato, ostentato, sventolato finora, e per questo assomiglia a un tradimento: la sincerità di uno scatto senza filtri, non ci siamo più abituati. Ma è con questi colori reali che la May deve cominciare la sua breve, decisiva campagna elettorale, in vista del voto parlamentare che si terrà tra un paio di settimane (il 12 dicembre), lei che è sopravvissuta a tutto, anche alla propria sciagurata illusione di poter fare una Brexit-che-vuol-dire-Brexit, e che ora si prepara a una battaglia che finora non ha mai vinto. La May non sa farle, le campagne elettorali: quando annunciò il voto anticipato nell’aprile del 2017, aveva venti punti di vantaggio sui laburisti. Due mesi dopo, al momento del voto, aveva perso la maggioranza parlamentare e si era dovuta appoggiare alla stampella più malferma che c’era, il partitino nordirlandese che le ha già fatto sapere di non voler sentir parlare del suo accordo dignitoso né ora né tanto meno quando la questione del confine con la Repubblica d’Irlanda dovrà essere definita. La May va da sola in questa battaglia, ha l’alleanza dei 27 paesi dell’Ue che pareva una conquista e invece in un paese eurofobico come il Regno Unito è un fardello, ma siccome è convinta che il decoro sia un’arma vincente, alza la testa: da oggi parte per un tour elettorale fatto di discorsi, incontri, spiegazioni. Parlerà agli elettori britannici, rischio massimo per una che in pubblico non viene mai fuori bene, per di più nel momento in cui dovrebbe invece convincere i parlamentari, i suoi parlamentari, attirarli a Downing Street con ogni trucco possibile e incastrarli. Sceglie la strada lunga, la May, pur non avendo tempo e pur non avendo nulla di particolarmente seducente da dire: vuole che dai suoi incontri sulla Brexit con le mutande venga fuori la stanchezza, la noia, la voglia di parlare d’altro, di sognare altro, di guardare oltre le scadenze serrate del divorzio. Davvero avete voglia di votare ancora, di sorbirvi ancora promesse irrealizzabili, di guardare questo spettacolo sanguinoso in cui non vince mai nessuno? Questo chiederà la May agli elettori, contando sullo sfinimento collettivo, e sulla possibilità che questo sfinimento, rimbalzando all’indietro, arrivi fino ai parlamentari e li convinca ad anestetizzare la ribellione. Per Jeremy Corbyn la May ha in serbo addirittura un dibattito tv, da organizzare in tempo record, tu e la tua ambiguità contro di me e il mio accordo, vediamo chi vince. Un azzardo assoluto, che fa tremare i polsi anche ai più fiduciosi, perché a ogni azzardo della May è corrisposta una sconfitta, ed è vero che Corbyn ha una strategia sbrindellata, ma lui almeno può ancora giocarsi tutto, sfiducia, elezioni, secondo referendum, mentre la May no, non ha più nulla da offrire, se non la sincerità tardiva di una Brexit decorosa, che pareva impossibile e invece c’è.
E pure non basta: l’errore è stato fatto prima, ora si paga tutto e tutto insieme, ma se qualcosa è cambiato nelle ultime settimane non è soltanto la popolarità della May – che non era mai stata tanto alta – ma piuttosto la consapevolezza che non si può giocare soltanto con la paura e con la rabbia, si è mostrato troppo, si è promesso troppo, si è truccato troppo. Arriva il momento in cui bisogna rivestirsi: è questo.