A Sciacca, dai pescatori che salvano uomini in mare e si stupiscono del nostro stupore
Oltre le leggi, che in ogni caso puniscono l’omesso soccorso, ci sono istinto e pratica, la complicità che diventa sopravvivenza. L'umanità e i simboli, dalla famiglia Giarratano a Primo Levi
Un secchio, acqua e fette biscottate, il kit di salvataggio è semplice e sempre pronto: il secchio per raddrizzare il gommone che imbarca acqua, qualcosa da bere e qualcosa da mangiare. Il soccorso in mare funziona così, senti un urlo e vai a vedere che cosa succede, ascolti le richieste, dai il primo sostegno, soprattutto rassicuri, perché spesso tutt’attorno è buio e perché anche se è la disperazione che ti ha portato in mare puoi sì conoscere i rischi, ma hai comunque paura di morire. Carlo Giarratano, il capitano del peschereccio di Sciacca che ha assistito un gruppo di migranti prima che arrivasse la Guardia costiera italiana a caricarli, ha raccontato il salvataggio notturno come se fosse la cosa più naturale del mondo: anzi, ricordandoci che è la cosa più naturale del mondo. “Nessun uomo di mare sarebbe mai tornato a casa senza essere certo di aver salvato quelle vite”, ha ribadito Gaspare, il papà di Carlo, replicando la stessa naturalezza, e lo stesso stupore: ci chiamate eroi, ma noi facciamo una cosa normale per un marinaio, per un pescatore, per un uomo.
Oltre le leggi, che in ogni caso puniscono l’omesso soccorso, ci sono istinto e pratica, quella complicità che in mare diventa sopravvivenza, e non importa se hai altro da fare, se devi tornare con il carico perché il mercato apre presto, se i pesci sciabola si muovono soltanto in certe ore e poi rischi di avere la rete vuota: non importa, se senti un urlo, se senti che qualcuno ha bisogno, vai. Il peschereccio che ha dato il primo soccorso a un gommone di migranti la settimana scorsa si chiama “Accursio Giarratano”: Accursio è morto a quindici anni per una malattia. Suo padre e suo fratello, nelle interviste che hanno rilasciato in questi giorni, raccontano che il loro impegno è dedicato a lui, “che ci benedice da lassù”, ma ripetono che anche se la famiglia non fosse stata colpita da questa tragedia – “perdere un figlio ti cambia la vita”, dice Gaspare – non avrebbero avuto alcun dubbio: “Conosciamo una sola legge, quella del mare, e non lasceremmo mai nessuno alla deriva. Lo facciamo perché siamo uomini”. E se arriveranno i sequestri, le multe, i decreti sicurezza, non cambierà nulla, “non siamo ricchi, siamo dignitosamente pescatori, e sottolineo dignitosamente”.
Non è la prima volta che i Giarratano salvano un barcone, hanno la licenza per pescare in acque internazionali, gli urli li hanno già sentiti: era già accaduto il 6 novembre scorso, avevano accompagnato i migranti a Malta. La settimana scorsa, le autorità di Malta non hanno risposto, i Giarratano hanno chiamato le autorità italiane, hanno aspettato vicino al gommone – senza far salire nessuno a bordo – l’arrivo della Guardia costiera e poi, una volta che la nave Gregoretti ha iniziato il trasbordo, sono rientrati. Il ministero dell’Interno non vuole ora far sbarcare i migranti: finché gli altri paesi europei non danno la loro disponibilità alla registrazione e all’accoglienza, non scenderanno a terra. Il divieto fa parte della strategia di Matteo Salvini, che si nutre di simboli, di zecche tedesche, di emergenze fasulle, di incidenti diplomatici in mare, di polemiche a terra, che sia la gente che grida “spero che ti stuprino” alla capitana della SeaWatch o la dileggia perché è senza reggiseno.
Si diceva che la presenza delle ong nel Mediterraneo fosse un incentivo all’immigrazione: come ha scritto Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi, dal 1 gennaio al 25 luglio, sono partite 7.461 persone dalla Libia, 1.249 quando c’erano le ong, 6.212 da quando non c’è “nessun assetto europeo a fare ricerca e soccorso”. Il pull factor delle ong non esiste, esistono i Giarratano che domani sera andranno nell’ex Collegio dei gesuiti, la sede del comune di Sciacca, e riceveranno un riconoscimento pubblico per “l’azione di coraggio e umanità” – un’istituzione premia l’istinto di salvare e di salvarsi, che affronto, sarebbe quasi da andarci senza reggiseno.
E poiché i simboli non funzionano soltanto negli scontri e nelle polemiche, la serata di Sciacca è dedicata ai cento anni dalla nascita di Primo Levi, che in “Se questo è un uomo” ricordava l’attimo preciso in cui quel che si credeva impensabile, impossibile, è diventato realtà: “Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa, la demolizione di un uomo”.