David Cameron (Foto LaPresse)

Il libro di Cameron è la conferma che la Brexit ha inghiottito ogni cosa, anche la pietà

Paola Peduzzi

Tre anni dopo il referendum, la questione europea è ancora lì, irrisolta. E l'ex premier britannico è il primo responsabile di questo scempio

Ci sono errori che non si possono perdonare, sbagli che non si possono aggiustare e per quanto te li rigiri in mano, in testa, nel cuore ogni giorno, ogni minuto, contando su qualche genere di redenzione – foss’anche soltanto il tempo che passa e che cura – non puoi scacciare via il rimorso. David Cameron, ex premier britannico, convive con l’errore della Brexit dal giugno del 2016: pensa che la questione europea andasse affrontata – “la consideravo inevitabile”, insiste – ma la battaglia europeista non andava perduta, e mentre i commentatori britannici si baloccano con ogni genere di cattiveria nei suoi confronti, lui fa l’elenco dei propri rimorsi, e lascia che sia il pubblico a decidere quante colpe continuare a imputargli. Cameron pubblica la sua biografia – “For the record” – mentre il Regno Unito resta inghiottito dalla Brexit: tre anni dopo il referendum, la questione europea è ancora lì, irrisolta, si è attorcigliata attorno al paese e lo sta soffocando. Cameron è il primo responsabile di questo scempio, e per lui non vale quello che è accaduto ad altri in altre parti del mondo: anche se i suoi successori si sono rivelati incapaci di gestire il divorzio con l’Ue, nessuno sente la mancanza di Cameron, nessuno sospira ripensando a quando c’era lui al governo. Certi errori sono così gravi, così definitivi che nemmeno la nostalgia del passato, spesso cieca e potente, riesce a emendarli.

 

Anzi, ora che Cameron ha rotto il silenzio, la rete si riempie di un unico commento: è l’unica cosa che non aveva ancora rotto. Un errore così non si perdona e non si dimentica, la responsabilità non si condivide neppure: “Era una mia decisione, era il mio referendum, era la mia campagna referendaria”, dice Cameron, e comunque vada a finire la Brexit non ci sarà riscatto. L’ex premier non lo cerca nemmeno, il perdono: sa che non può ottenerlo, dice che non tornerà in politica ed è giusto che sia così, prova a guardare avanti ma non vede niente, c’è solo il passato, ci sono solo gli incubi di porte chiuse che lui non riesce ad aprire. C’è la solitudine, anche: Boris Johnson che non credeva a nulla se non alla propria carriera e così decise di passare con il mondo brexitaro, e nella notte elettorale gli mandò un messaggio che diceva: “La Brexit sarà schiacciata come un rospo sotto l’erpice”; Michael Gove che poteva scegliere di stare con lui e con la squadra con cui aveva sempre lavorato pur avendo un euroscetticismo più spiccato e invece lo abbandonò, cercando una strada pro Brexit in cui poi si sarebbe perduto. Tra le ipocrisie e gli opportunismi di molti, resiste soltanto la moglie Samantha, con il gin liscio che si bevve prima di accompagnarlo fuori da Downing Street la mattina delle dimissioni e le sigarette che hanno iniziato a fumare insieme dopo il referendum. Un altro dolore da condividere per questa improbabile coppia – erano diversissimi, lui e Samantha, nessuno avrebbe mai scommesso sulla tenuta del loro amore – che ha vissuto il dolore assoluto: la morte del figlio Ivan.

 

Il Sunday Times ha pubblicato un estratto del memoir in cui Cameron parla del suo primogenito, affetto da una malattia rara che lo ha reso paraplegico e muto e in preda a crisi epilettiche continue, anche trenta volta al giorno. Il racconto dei sei anni – quanto ha vissuto Ivan – di impotenza dei genitori di fronte alla sofferenza del figlio è straziante, ogni parola porta con sé amore e dolore, speranza e sconfitta, ma neppure per questa indicibile sofferenza c’è pietà. Il Guardian ha pubblicato un editoriale per sottolineare l’imperdonabilità di Cameron in cui dice che l’ex premier ha “patito insuccessi e dolori nella sua vita, ma si è sempre trattato di insuccessi limitati e di dolori da privilegiato”. Dopo due ore il quotidiano ha cambiato il testo, si è scusato per quelle parole “ben al di sotto ai nostri standard di pubblicazione”, ma in questo piccolo episodio c’è la sintesi della storia di Cameron, degli errori troppo grandi, dell’assenza di perdono, dell’assenza di pietà e del sollievo, soprattutto, di avere qualcuno a cui dare la colpa, tutta quanta.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi