Elezioni o Brexit?
Nella Brexit, tra i politici che fanno il contrario di quel che dicono, c’è pure un gatto che si strozza col topo
Brexit soap opera, riassunto delle puntate precedenti: i conservatori britannici dicono di volere la Brexit (get Brexit done) ma hanno smesso di provarci e chiedono un’elezione, il 12 dicembre; i laburisti dicono di volere un’elezione ma non vogliono votare per averla (non nei termini proposti dai Tory almeno); i liberaldemocratici e l’Snp scozzese non vogliono la Brexit ma spingono per un’elezione pre Brexit, il 9 dicembre; il movimento People’s Vote, che riempie le piazze chiedendo un secondo referendum, litiga molto al suo interno (scaramucce ma l’effetto finale è: se non sanno mettersi d’accordo tra di loro, come potranno mettere d’accordo il Parlamento e il paese?); l’Europa ha acconsentito a un’estensione di tre mesi, fino al 31 gennaio, anche se ancora non è stato stabilito a che cosa serva questo tempo in più concesso al Regno Unito.
Si apre così la puntata settimanale della Brexit, che mostra la solita trama – in-che-casino-siamo-finiti – e offre come novità più concreta quella di un voto a dicembre, che per il Regno Unito è un viaggio (un altro) nell’incertezza. A cavallo del Novecento, quando le elezioni duravano tre o quattro giorni, si è votato a dicembre (le più famose elezioni invernali sono quelle del 1918, quando votarono per la prima volta le donne). L’ultima volta è accaduto nel 1923: un premier conservatore al potere da pochissimo decise di andare al voto anticipato perché voleva introdurre dei dazi e non aveva sufficiente sostegno politico. Finì con un governo di minoranza laburista. Brutti presentimenti? Molti se ne infischiano, non è che il presente brilli per rassicurazioni e futuro roseo.
Quel che colpisce, però, in una soap opera che ci ha abituato a grandi sorprese alzando di molto la nostra soglia dello stupore, è che i liberaldemocratici e l’Snp (in conflitto con i “colleghi” gallesi, cosa rara) si siano decisi a dare al premier Boris Johnson un assist impensabile. Il calcolo è questo: se congeliamo la Brexit, possiamo riunire tutto l’elettorato remainer grazie alla nostra promessa di revocare l’articolo 50 in caso di vittoria e di governo. Il popolo anti Brexit potrebbe avere una scelta chiara cui appigliarsi: voto i lib-dem o l’Snp se sono scozzese e faccio rimangiare la Brexit sia ai Tory sia al Labour, in un colpo solo.
Se la spericolatezza ha un valore elettorale, la scommessa è vinta, anche se “voto i più matti di tutti” non è una cosa che generalmente si sente dire in giro. L’azzardo di questa compagine deriva anche dal fatto che in Parlamento non c’è una maggioranza per il secondo referendum: quella era la prima scelta, ma se è irraggiungibile, allora bisogna essere coraggiosi. Sul futuro dell’opzione del secondo referendum si specula da molto tempo: non ha aiutato la lite via email (e via social) dei personaggi più in vista del People’s Vote, la dimostrazione che un po’ di disperazione, comunicativa, strategica, politica, in effetti c’è. Il lusso della proposta liberaldemocratica + Snp è che non ha bisogno della maggioranza dei 2/3 del Parlamento per essere approvata, come invece è accaduto alla mozione presentata dal governo, che ha ricevuto “soltanto” la maggioranza semplice. Johnson oggi vuole presentare una propria proposta di elezioni per il 9 dicembre “sostanzialmente identica” a quella dei lib-dem: su quel sostanzialmente ci si rischia di rompere la testa, ma al momento una specie di alleanza improbabile tra Tory, lib-dem, Snp e laburisti ribelli pare esistere. E Jeremy Corbyn? Ha sempre l’aria del gatto che ha ingoiato il topo, ma si sta strozzando.