Quanto costa l'inevitabilità?
I calcoli di Sanders, in questo tempo sospeso in cui tutto sembra possibile
Bernie Sanders ha aumentato i comizi e le pubblicità, c’è bisogno di farsi vedere e di farsi conoscere perché la Carolina del sud, fino a poco tempo fa stato inaccessibile, ora è un obiettivo raggiungibile: ogni cosa è diventata possibile per il Sanders pigliatutto che aspetta al varco del SuperTuesday – il 3 marzo – il milionario Bloomberg. Il 27 ci sono le primarie democratiche in Carolina del sud, dove Joe Biden, sopravvissuto al Nevada (è arrivato secondo dopo Sanders) è primo nei sondaggi, ma il margine di vantaggio va diminuendo in modo inversamente proporzionale alla inevitabilità di Sanders. Mentre il fronte moderato si spezzetta senza trovare un candidato rappresentativo tra Biden e Pete Buttigieg (Amy Klobuchar sembra ormai in coda, le pressioni per un suo ritiro sono sempre di più), mentre lo spettro di Mike Bloomberg incombe, risorsa ultima e terrore ultimo allo stesso tempo, Sanders trova varchi nuovi, o se li prende a forza, convinto com’è di dover combattere complotti orditi dal suo stesso partito, che farebbe qualsiasi cosa piuttosto che vederselo come candidato contro Donald Trump a novembre.
Il senatore del Vermont, inviso all’establishment del Partito democratico, ha l’onore di avere contro di sé i “neverSanders”, un gruppo di politici e commentatori che spiega quanto sia pericoloso affidare la campagna per la Casa Bianca a uno come Sanders, radicalissimo e polarizzante, inadatto per creare quella grande coalizione progressista che potrebbe sconfiggere Trump. La Carolina del sud è considerata un test importante perché la popolazione di questo stato è più variegata rispetto ai primi appuntamenti elettorali (che erano in stati sostanzialmente bianchi) e finora s’è detto che un moderato come Biden in questi contesti funziona meglio. Sanders vuole sfidare questa convinzione, sente il tocco magico dell’inevitabilità e vuole giocarselo tutto ora, per sbugiardare chi dice che uno come lui, nel sud dell’America, non ha speranze.
La Carolina del sud è l’assaggio per il SuperTuesday, il test dei confini della campagna di Sanders e anche l’ultimo appuntamento prima dell’arrivo di Bloomberg, un angolo sospeso carico di significati: o almeno così vuole la campagna di Sanders, che ormai parla apertamente dei complotti democratici contro di lui, e diventa l’inevitabile antisistema, un paradigma non proprio originale ma di buon successo. I “neverSanders” sono per lo più democratici, sperano in un’inversione dell’onda positiva di Sanders, ma allo stesso tempo pensavano di arrivare a questo punto con qualche certezza in più. Invece no, e così i “neverSanders” si appiattiscono sempre più su i pro Bloomberg col naso turato, immagine orripilante di un partito che non ha saputo creare in quattro anni un’alternativa credibile (e unita) a Trump. I sandersiani – capitanati da Alexandria Ocasio-Cortez, la star del Congresso che ha fondato un comitato politico, Courage to change, che è già un tesoretto di soldi e di influenza – non devono nemmeno sforzarsi troppo per trovare argomenti contro Bloomberg, persino dire élite, per uno come l’ex sindaco di New York, è riduttivo, di élite come Bloomberg c’è quasi soltanto lui.
Così si fanno calcoli sull’inevitabilità, che non è sempre un buon affare (ricorderete chi era l’inevitabile del 2016), mentre ci ritroviamo quasi a sorridere, in questa guerra civile a sinistra che ha ben poco di divertente, per i continui sospiri degli altri “never”, i “neverTrump”, i repubblicani che non si sono ancora adattati al loro presidente (sono pochissimi ancorché esausti) che dicono: ma Bloomberg non poteva candidarsi alle primarie repubblicane?