Che bello show alla Camera dei Comuni inglesi
Il laburista Starmer ci mostra la forza delle “carezze punitive”
Che bello spettacolo ieri alla Camera dei Comuni inglesi: dopo aver fissato attoniti quelle panche verdi in mezzo alle indecisioni e alle brutalità della saga Brexit, finalmente abbiamo riscoperto la magia di quell’aula, il suo fascino assoluto. E come si vedevano bene quelle panche, nel semivuoto della Camera, parevano rassicuranti come il vestito verde della Regina (altra tonalità, altra leadership) quando ha detto “ci rincontreremo”. Il premier Boris Johnson è andato ieri in Parlamento a presentare il suo piano per la riapertura che aveva preannunciato domenica sera in conferenza stampa. Ieri in più aveva il documento “Our Plan to Rebuild” in cui si circostanziava un po’ di più un piano che era sembrato troppo confuso – e sì che di tempo ne aveva avuto, il governo Johnson, per non parlare dei modelli da copiare che ormai sono parecchi. Ma come spesso accade nella gestione della riapertura, i leader politici cercano di accontentare tutti, impazienti e cauti, e alla fine ci si capisce poco – questa è un’altra costante un po’ ovunque, ieri uno dei principali giornalisti inglesi, Robert Peston, riassumeva il piano di Johnson con “si può giocare a tennis da soli ma non in doppio”, e suonava abbastanza familiare. L’ex presidente americano Barack Obama deve aver perso la pazienza se ha definito la situazione americana – ma quella inglese non è di troppo differente – “un disastro caotico”, sintesi abbastanza esatta, ma chi fa opposizione operativa, occhi negli occhi nelle aule istituzionali, deve scendere un pochino più nel dettaglio. Lo ha fatto ieri il leader laburista inglese, Keir Starmer, calmo, preciso, puntuale, una domanda via l’altra su tutte le questioni, senza polemiche eccessive, senza esagerare con il sarcasmo, ma con un obiettivo preciso: qui non si capisce niente, ma questa “considerevole confusione” oggi rischia di essere pericolosa.
Nel merito, i temi del dibattito li conosciamo bene, ci siamo appena passati. Libertà di movimento sì, ma quanto grande? Volto coperto sì, ma le mascherine non erano solo per il personale sanitario? Mezzi pubblici pochi, ma poco quanto se non ci sono alternative? E se uno non si sente sicuro ad andare a lavorare, è obbligato comunque o può scegliere? Proprio questa domanda sta tormentando non poco il Regno Unito: il ministro degli Esteri Dominic Raab, quello che ha preso il posto di Johnson quando il premier è stato ricoverato, ha detto che ci si muove “in base al buon senso”, ma molti gli hanno risposto che il punto è proprio qui, che il buon senso di un dipendente di solito non è lo stesso di un datore di lavoro e che in queste settimane l’essenzialità di alcune professioni ha portato a uno sforzo ulteriore e rischioso, ma non più remunerato rispetto a prima. Molti a sinistra nel Regno Unito come altrove parlano esplicitamente di lotta di classe, e immaginano un futuro di diseguaglianze senza compensazioni.
Starmer non si è spinto fin lì: ieri ai Comuni non voleva fare semplice battaglia politica, non voleva accapigliarsi sui pettegolezzi (lo ha fatto un parlamentare dei Lib-dem chiedendo se è vero che il nuovo slogan “Stay alert” era stato rifiutato dal comitato scientifico: Johnson nega), voleva fare un servizio pubblico, spiegare che cosa sta accadendo e che cosa accadrà nel Regno, chi va a scuola e chi no, se i nonni si possono vedere insieme o uno per volta, se l’assenza in ufficio suona come una diserzione o semplicemente come una cautela. Ed è per questo che lo spettacolo, per una volta, è stato bello, perché alla fine del confronto, il premier Johnson aveva spiegato qualcosa in più sul suo piano, aveva dato un senso più specifico ai nuovi slogan, aveva soprattutto ascoltato le domande senza pensare che fossero soltanto accuse. Johnson sta capendo di non poter più essere il leader dei “good times” come dicono loro, quello dell’ottimismo sfrontato e magari un po’ folle. Starmer usa le parole del governo per chiedere spiegazioni utili agli inglesi: c’è chi dice che il leader del Labour è un artista delle “carezze punitive” (deve avere per forza esperienze pregresse come padre o come marito, altrimenti non si spiega tanta precisione).