Dominic Cummings, aiutante del primo ministro britannico Boris Johnson, rilascia una dichiarazione nel giardino del 10 di Downing Street (LaPresse)

Je ne regrette rien

Paola Peduzzi

Dom Cummings occupa il giardino di BoJo per frustare chi sperava di abbattere il nemico pubblico n. 1 del Regno

Milano. Non si era mai visto un consigliere politico del governo inglese prendere la parola e le domande dei giornalisti seduto a una scrivania nel giardino delle rose di Downing Street, ma con Dominic Cummings ogni cosa è speciale (persino indossare una camicia bianca). Così il superconsigliere di Boris Johnson ha parlato ieri del perché ha violato le regole del lockdown cui tutto il Regno Unito è stato sottoposto. In sintesi: ho violato le regole – il capo non ne sapeva nulla – ma ho dovuto prendere decisioni rapide e non ho rimpianti né voglio scusarmi. Sono tempi difficili, ho scelto nel modo più razionale possibile. La gente è furiosa? Ho spiegato le mie ragioni, e certo, se la gente continua a leggere i media scatenati contro di me, sarà sempre più arrabbiata (“la rabbia si fonda su articoli di giornale non veri: è molto disdicevole”).

   

Il consigliere speciale del premier Johnson ha violato le regole del lockdown a marzo, quando aveva contratto il virus, per portare la famiglia – ha un figlio di quattro anni – dai genitori, nella contea di Durahm, 420 chilometri da Londra. E’ poi tornato a Londra ad aprile (è stato fotografato il 14 aprile a Downing Street: non si vedeva dal 27 marzo) e ha trascorso il 12 aprile a Barnard Castle, a circa 50 chilometri da casa dei suoi genitori, per verificare se avesse problemi alla vista, dice lui, ma era anche il compleanno della moglie, la giornalista Mary Wakefield. La Wakefield ha presentato i sintomi del coronavirus il giorno prima del marito e ha raccontato in un articolo pubblicato sul magazine per cui lavora, lo Spectator, la vita nel lockdown: ha scritto che Cummings è stato molto male per dieci giorni, che è stato molto premuroso con lei e che sono “emersi dalla quarantena nell’incertezza quasi comica del lockdown di Londra”. Nulla, nel racconto della Wakefield, faceva pensare che avessero lasciato Londra. Questo articolo ha creato un altro scandalo nello scandalo, che si è consumato tutto dentro allo Spectator, storico settimanale conservatore che ha sostenuto sia la Brexit sia Johnson e che è stato rapidissimo nel pubblicare un articolo che chiedeva le dimissioni di Cummings. Era solo l’inizio: molti giornali solitamente vicini al governo hanno preso le distanze, il Mail aveva ieri il titolo più ripreso: “In che pianeta vivono?”.

  

Il mondo conservatore si è spaccato su Cummings, come da tempo è spaccato il Regno Unito sul conto del guru di Johnson che sintetizza alla perfezione un modo di fare politica fondato sulla lite e sullo scontro permanenti. Il premier è stato definito “lo scudo umano” di Cummings, e molti ministri hanno difeso il consigliere – in modi più o meno sbrigativi, più o meno sentiti, ma lo hanno difeso. Altri hanno preso le distanze, in particolare una ventina di parlamentari, per lo più provenienti dal cosiddetto “muro blu” nato con le elezioni di dicembre: una volta lì vinceva il Labour (era il “muro rosso”), ora vincono i Tory, quella cintura di seggi è un grande orgoglio di Cummings, un’altra sua conquista. Questi nuovi deputati hanno avuto molti problemi a difendere il consigliere, dicono che i cittadini si sentono offesi dal privilegio che ha avuto Cummings, è questo “il governo del popolo”?

  

Cummings è odiato non soltanto dalla metà del paese che gli imputa la sciagura della Brexit, ma anche da tutto il servizio di funzionari e consiglieri che fa andare avanti la macchina istituzionale britannica e che Cummings vuole tagliare – persone e costi – e rivoluzionarne la selezione. Quando Cummings pubblicò un post sul suo blog in cui chiedeva a tutti i “disadattati” del Regno di mandargli un curriculum perché aveva bisogno di idee e di approcci nuovi, a buona parte del governo e del Parlamento (e gli staff che girano intorno) è venuto un colpo: Cummings voleva far diventare una regola quel che fino ad allora era stato un suo vezzo o dispetto o disprezzo, chissà, come aggirarsi in tuta e magliette slabbrate nei palazzi del potere. Buona parte del mondo politico, tecnici e no, di Londra considera Cummings un problema, anzi, un nemico: prima che arrivasse la pandemia a distogliere la nostra attenzione, il governo, su spinta del guru, stava mettendo mano alla Bbc, aveva già imposto regole nuove d’accesso alla sala stampa del governo, e aveva costretto molti ministri a licenziare i loro consiglieri. Un ministro che non ha accettato, Sajid Javid, ex cancelliere dello Scacchiere, ha perso il posto.

  

L’occasione di colpire Cummings è ghiotta per molti, e c’è chi cerca di non sprecarla. Ed è proprio su questo accanimento che il guru ha costruito la sua linea di difesa. Cummings ha detto: il mio lavoro e il mio ruolo sono diversi dagli altri, chi fa paragoni è in cattiva fede. Come in cattiva fede sono i giornalisti e i media, che hanno acceso la miccia per un altro accanimento: tra le ragioni che il superconsigliere ha citato per il suo trasferimento a casa dei genitori (una tenuta in cui ha una casa tutta sua: distanza sociale garantita) c’è proprio la paura di lasciare la moglie e il figlio sempre a casa in mezzo alle minacce sui social e alle poste dei giornalisti. Non è stato particolarmente originale, Cummings: abbiamo già visto questo format usato da altri leader, il vittimismo sprezzante come formula salvifica. “Non ho offerto le mie dimissioni, non ho nemmeno preso in considerazione l’ipotesi”, ha precisato Cummings. Di originale qui ci sono altri fattori: un consigliere non eletto che usa il giardino del palazzo del governo per spiegare una propria decisione; un consigliere non eletto che dice da solo la sua versione perché evidentemente il capo, il premier, non era stato abbastanza efficace; il consigliere non eletto che offusca la conferenza stampa giornaliera del governo mentre i giornalisti increduli gli chiedono “ma come fai a non sentirti in colpa?” e lui ripete quel che ha detto nei primi dieci minuti. Dello scandalo resteranno il tentativo di affossarlo degli altri, il tono sprezzante di lui, i pianeti distanti e quel che c’è sempre in mezzo a queste faccende: la fiducia, un bene prezioso e fragile sempre, ancor più quando è il governo che ogni giorno ti dice se potrai uscire, se potrai cercarti un altro lavoro, se andrai in vacanza, o soltanto a trovare i tuoi genitori.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi