I guardiani del trumpismo vs i guardiani dei valori repubblicani
C’è anche Mitt Romney (oltre al segretario alla Difesa Mark Esper) sul fronte di chi copre incarichi istituzionali e critica il presidente
"Questo è mio padre”, ha tuittato l’ex candidato presidente repubblicano e senatore dello Utah Mitt Romney. Ecco “George Romney mentre partecipava a una marcia a Detroit per i diritti civili alla fine degli anni Sessanta – ‘La forza da sola non eliminerà le proteste’, diceva. ‘Dobbiamo eliminare i problemi alla base delle proteste’”. Domenica il figlio di George è sceso in piazza a Washington con la manifestazione di Black Lives Matter, jeans e mascherina N95, l’unico senatore americano a partecipare alla manifestazione contro il razzismo. James Hohmann del Washington Post ha raccontato ieri quanto le figure dei padri abbiano formato quelle dei figli e prima di arrivare alle similitudini tra Mitt e George – e a un rapporto molto particolare di cui il figlio non ha mai fatto mistero, anzi – ha cominciato dal Memorial Day del 1927, quando il padre di Donald Trump, Fred, fu arrestato a una marcia del Ku Klux Klan nel Queens. Il reato commesso: “mancata dispersione”, lo stesso per cui oggi vengono arrestati molti giornalisti. Non è mai stato chiarito che ruolo avesse Fred Trump in quella protesta: il figlio Donald ha sempre detto che quell’arresto non c’è mai stato e che suo padre non ha mai avuto niente a che fare con il Ku Klux Klan.
Mitt Romney ha voluto fare un riferimento diretto al padre, come gli è capitato spesso in passato e le loro storie sono davvero molto simili, non solo per i tentativi falliti di diventare presidente ma perché George, da ministro, fu spesso sminuito pubblicamente dal suo capo, il presidente Nixon. Mitt Romney oggi è uno dei pochi repubblicani che hanno un ruolo al Congresso e che criticano il presidente Trump. Fu anche l’unico senatore repubblicano che a gennaio votò a favore dell’impeachment di Trump, pur sapendo che non sarebbe passato, ma difendendo non soltanto una posizione personale, ma i valori del partito che rappresenta. Oggi ci sono altri che, come Romney, ricoprono ruoli istituzionali e criticano Trump, basti pensare al segretario alla Difesa Mark Esper che rischia il posto, ma non sono tanti: come si sa il Partito repubblicano sostiene Trump praticamente sempre.
Quando è iniziato a circolare il video di Romney alla manifestazione, le reazioni sono state: i trumpiani lo hanno chiamato “loser”, i radicali di sinistra lo hanno chiamato “presuntuoso” e naturalmente in pochi minuti c’era già chi suggeriva che quello fosse il video di lancio di un’altra campagna presidenziale. Tim Alberta, autore di “American Carnage” e giornalista di Politico, ha tuittato riferendosi a Romney: “Il maltrattamento di quest’uomo, la sua demonizzazione a livello personale da parte dei suoi oppositori in entrambi i partiti saranno studiati nei prossimi decenni”. Romney sfidò nel 2012 Barack Obama, quindi gli obamiani hanno risposto ad Alberta dicendo che le cattiverie dette da Obama su di lui erano della stessa forma di quelle dette da Romney su Obama. Ma Alberta ha insistito: l’allora vicepresidente Joe Biden, oggi sfidante di Trump, disse che Romney avrebbe rimesso gli afroamericani “in catene”.
Oggi Romney dice che non voterà Trump a novembre, il che per molti significa che voterà Biden, proprio quel Biden, che forse è la sintesi perfetta di quel che deve digerire oggi, nella stagione del trumpismo, un repubblicano tradizionale. Se ne sente l’urgenza, ovviamente, perché altrimenti può anche tacere, come fa la maggior parte dei colleghi di Romney. E chissà chi sta vedendo giusto ora che tutti i sondaggisti dicono che l’America negli ultimi tre mesi ha cambiato completamente faccia: i guardiani del trumpismo o i guardiani dei valori dei repubblicani.