Cosmopolitics
I test di purezza di Ocasio-Cortez. Si comincia con Maya Wiley
New York è il laboratorio politico della deputata americana leader dell'ala radicale dei democratici. Per le primarie ha fatto una lista dettagliata di chi votare. L'esperimento numero uno è un'attivista-avvocato che vuole "defund the police"
Se non ci mettiamo insieme e formiamo un movimento, ci ritroveremo a vivere in una New York costruita per i miliardari, e invece noi abbiamo bisogno di una città fatta da e per le persone che lavorano, quindi voteremo per Maya numero 1”, ha detto sabato Alexandria Ocasio Cortez parlando davanti City Hall a Manhattan, su un podio viola con la scritta “Change takes courage”: per cambiare ci vuole coraggio. L’endorsement ambito della star della sinistra radicale è andato a Maya Wiley, a pochi giorni dall’inizio del voto (il 12 giugno) per le primarie democratiche per il sindaco di New York (il 22 giugno: è quasi certo che chi vince queste primarie sarà sindaco, visto che l’opposizione repubblicana in città è debole). Fino a qualche giorno fa girava voce che Ocasio-Cortez non avesse ancora scelto con chi schierarsi, anzi circolava questa sua frase: “Non posso prendermi io la responsabilità delle cazzate degli altri”, che non si sa se sia vera ma rende bene sia il potere della deputata del Bronx, guida dell’ala radicale del Partito democratico, sia il significato di quelli che Barack Obama chiamava i “test di purezza” (diceva anche che con questi test la sinistra non si sarebbe riunita mai). Maya Wiley ha vinto il test, anche se con ritardo e anche se sono stati gli altri due contendenti dell’ala radicale a implodere da soli, uno perché allunga le mani sulle ragazze, l’altra perché il suo staff ha fatto uno sciopero contro di lei (una delle proteste più bizzarre della storia).
Cinquantasette anni, capelli lunghi e brizzolati, occhi profondissimi, Maya Wiley è avvocato, attivista, commentatrice televisiva, professoressa e ora, grazie soprattutto ai finanziamenti della Fondazione di George Soros, la candidata “numero uno” del movimento del cambiamento guidato da Ocasio-Cortez, la quale ha scelto New York come suo laboratorio politico, indicando i nomi da votare in ogni distretto, a volte anche la seconda o terza scelta (quest’anno si possono mettere fino a cinque preferenze). La Wiley aveva lavorato con l’attuale sindaco, Bill De Blasio, nel 2014 per poco tempo e per progetti specifici, come colmare le disparità in termini di accesso a internet tra redditi alti e bassi, e poi se n’era andata delusa. Ma oggi tutti le chiedono di quell’esperienza, vogliono farsi dire se detesta De Blasio, se ha preso le distanze da quell’uomo d’establishment, non abbastanza radicale secondo i test di purezza d’oggi. La Wiley è esperta abbastanza da non rispondere e anzi dire, come ha fatto con il giornalista del New Yorker: “Stai davvero chiedendo a una donna di colore di commentare l’operato di un uomo bianco? Dai su”.
L’offerta dei candidati, anche dei più quotati e centristi come Andrew Yang ed Eric Adams, è considerata molto di sinistra, ma quel che sta caratterizzando la Wiley è la battaglia per togliere fondi alla polizia, il famoso “defund the police” che costituisce un altro spartiacque nel mondo democratico. Ci renderà tutti più insicuri, le dicono i suoi oppositori, mentre lei partecipa volenterosa e speranzosa all’esperimento del laboratorio di Ocasio-Cortez, che di fatto, per essere vincente, deve ricostituire la stessa coalizione di elettori che vota Di Blasio, ma con candidati nuovi, i suoi, i coraggiosi.