Cosmopolitics

Il destino di BoJo dipende da Sue Gray, la donna più potente del Regno di cui non avete mai sentito parlare

Paola Peduzzi

La funzionaria è a capo dell'inchiesta sul partygate che da tempo sta mettendo sotto pressione il premier inglese. La sua memoria salda, la grande esperienza e il regolamento di conti in arrivo

Sue Gray è in questo momento la donna più potente della politica britannica, ed è anche un’amica dell’ex premier Theresa May, cosa che spaventa molto l’attuale governo di Boris Johnson. Sessantaquattro anni, l’aria gentile di chi ha grande esperienza, Sue Gray ha preso il posto del suo capo, Simon Case, alla guida dell’inchiesta sul partygate, le tante feste che si sono organizzate a Downing Street quando il resto del paese poteva giusto assembrarsi con i congiunti stretti (e riconosciuti dalla legge) – Case le ha lasciato l’incarico quando si è saputo che lui stesso era un organizzatore di feste cosiddette “di lavoro”. I giornalisti inglesi si sono messi a spulciare le altre indagini fatte in passato dalla Gray, che da sempre, seppure con qualche pausa, si occupa di stabilire se l’operato dei politici rispetta le regole etiche previste per i funzionari pubblici: la sua storia è costellata di carriere (di altri) interrotte. Un’ex consigliera di Downing Street che la conosce ha detto alla Bbc qualche anno fa: “Sue è lì da così tanto tempo! Conosce perfettamente ogni cosa sbagliata fatta da chiunque”. Ha buona memoria anche, dicono, pure se nessuno le attribuisce, forse per cautela (oggi tocca a te, domani a me), uno spiccato istinto vendicativo. Fa quello che deve fare: indaga. Ma ricorrono comunque spesso le parole pronunciate da Oliver Letwin, che lavorò con l’ex premier David Cameron: “Mi ci sono voluti esattamente due anni per capire chi guida questo paese. Il nostro glorioso Regno Unito è guidato da una signora che si chiama Sue Gray, capo delle questioni etiche o come si chiamano nell’ufficio del governo. Se lei non è d’accordo su qualcosa, quel qualcosa semplicemente non succede”.

Ora tutti attendono il qualcosa del momento, cioè la parola finale sul partygate che dovrebbe arrivare entro la settimana, se non continuano ad aumentare, come è possibile, le prove, quindi le feste, che la Gray deve valutare. In realtà anche queste tempistiche sono indicative: l’inchiesta sul bullismo del ministro dell’Interno Priti Patel ai danni dei suoi collaboratori è durata sei mesi; quella sulle foto porno del computer del parlamentare Damien Green due mesi. Ma qui le pressioni sono tantissime, visto che di mezzo c’è il primo ministro e ci sono talmente tante feste (ogni venerdì pare) che, sulla base della loro frequenza, possono essere più facilmente assimilate a incontri festosi di lavoro, come si augura lo stesso Johnson.
Quel che conta però è che si tratta di un’inchiesta interna: il Parlamento, per quanto scalpitante e vorace, non c’entra nulla né può in questa fase fare nulla, e Scotland Yard sarà coinvolta soltanto se saranno ravvisati dei crimini. In altre parole: la resa dei conti è dentro all’ufficio del premier ed è sua, salvo altre indicazioni che lo riguardano personalmente, l’ultima parola. Per questo sentite in queste ore un gran pianto di chi dice che i conservatori, e in particolare i johnsoniani, sono spietati: puoi aver mostrato e rimostrato la tua lealtà tante volte, anche in queste settimane in cui sarebbe stato divertente parlare in forma anonima delle feste, ma se sei il capro espiatorio, per te non c’è scampo. Funziona così, gli avvertimenti non sono mancati.

Il caos è talmente grande che nessuno sa dire se il tempo che passa sia più a favore del premier, che sta già organizzando un rimpasto a Downing Street nell’operazione cosiddetta “red meat” o “big dog”, a seconda delle fonti, o dei suoi avversari, che pianificano voti di sfiducia e la nomina di un sostituto. Ma c’è anche un gran daffare nel cercare i sostituti di chi, per mettere fine all’inchiesta della Gray, sarà licenziato: fino a poco tempo fa, avere in curriculum un incarico nel governo che ha consegnato al paese una grande maggioranza conservatrice, una certa stabilità e finanche la Brexit (se questa cosa che vediamo è davvero un divorzio che si può considerare funzionante) era una cosa ambita. Ora è un rischio, soprattutto se intorno ci sono ancora signore come la Gray, con la memoria salda.  

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi