Perché le policy vanno valutate: Sisifo vs Galileo
La politica è l'arte del governo, non della campagna elettorale. Una chiosa a Tommaso Nannicini
Tra pochi mesi finirà la legislatura. Gli italiani si recheranno alle urne, si formerà un nuovo Parlamento e dovrà insediarsi un nuovo Governo. Gran parte della discussione politica, oggi, ruota attorno alla tempistica e alle modalità con cui questo fisiologico processo dovrà avvenire (leggi: data del voto e legge elettorale) ma pochi parlano di cosa dovrà succedere il giorno dopo.
Interrogarsi sul “day after” non è esattamente la stessa cosa che ragionare sui programmi elettorali. I programmi, infatti, sono più dei manifesti politici, utili a dare l’indicazione della direzione che le diverse forze ritengono auspicabile imboccare, che non delle indicazioni concrete su cosa si intende fare. Inoltre, nello scenario proporzionalista post-4 dicembre, ogni partito usa il programma per “posizionarsi”, ma sa benissimo che difficilmente riuscirà a ottenere una maggioranza monocolore. Di conseguenza, i giochi veri si faranno sul filo del compromesso.
Se questo è vero, allora bisogna prendere atto che il nuovo esecutivo non partirà da zero: erediterà un paese che ha una serie di problemi profondi, e che negli ultimi anni ha introdotto diverse riforme con l’obiettivo di affrontarli (con Marco Leonardi abbiamo cercato di ricostruire le conseguenze economiche del Governo Renzi). In tale contesto, nulla è più dannoso di un atteggiamento purtroppo assai frequente tra gli uomini politici: quella che potremmo chiamare la “sindrome di Sisifo”, ossia la tendenza a cancellare quanto fatto in precedenza per ripartire da zero. Al contrario, sarebbe una grande prova di serietà e responsabilità adottare un atteggiamento “galileiano”: quello di “provare e riprovare”. Nessuna policy è esente da errori e tutte possono essere migliorate. Per farlo, però, occorre anzitutto dotarsi di un metodo per valutare a) la ragionevolezza degli obiettivi della policy e b) la congruità tra obiettivi e strumenti. (Un esempio della sindrome di Sisifo è l’eliminazione dello “scalone Maroni” da parte del Governo Prodi; un esempio di atteggiamento galileiano è l’affiancamento dell’Ape volontaria alla Riforma Fornero, per stare in ambito pensionistico).
Questa differenza emerge molto bene da una riflessione di Tommaso Nannicini sulla “retorica dei bonus”, sovente rinfacciata a Matteo Renzi. In particolare, parlando degli 80 euro, Nannicini scrive: “il bonus poteva (e doveva) essere disegnato meglio, limitando le discontinuità nelle aliquote marginali ed evitando le distorsioni nelle aspettative legate ai rimborsi ex post. Ma questa è una critica sul “disegno” della policy (che anche chi scrive ha sollevato più volte), che nulla toglie a un “obiettivo” come quello di dare sollievo fiscale ai redditi medio-bassi; obiettivo che è stato in larga parte raggiunto e per di più in maniera strutturale”.
L’interesse del paese coincide con l’aggiustamento, il miglioramento e il perfezionamento delle policy esistenti. La politica dell’azzeramento, invece, genera incertezza e spesso impedisce di imparare dagli errori passati. Per correggere e migliorare, bisogna abbandonare la strada facile e lastricata di buone intenzioni delle affermazioni apodittiche prive di riscontro fattuale (qui un caso-scuola), e muoversi invece sul terreno più accidentato ma fertile del pragmatismo. E’ quindi urgente seguire un metodo, scientifico e condiviso, per studiare, analizzare e valutare (qui un buon punto di partenza): e, conseguentemente, emendare, correggere, riformare. (Sottolineo: la parola chiave è metodo).
Tornare a parlare di politica vuol dire, dunque, accettare un rovesciamento di coordinate: la politica non è l’arte della campagna elettorale, ma è – o dovrebbe essere – l’arte del governo.
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