Il modello super-Rizzo spiega i rincari di luce e gas?
Prendersela con l'Authority non farà calare i prezzi
Nel mondo di Sergio Rizzo è tutto molto semplice: prima spara, poi fai domande. Su Repubblica di oggi ne fornisce una plastica dimostrazione: il 2018 si apre con gli aumenti di luce, gas e autostrade? Benissimo: le Authority sono incapaci se va bene, colluse se va male, inutili in ogni caso.
Il ragionamento di Rizzo fa acqua da tutte le parti, a partire da alcuni errori fattuali nei dati (la topica più clamorosa: il peso della materia prima sulla bolletta gas non è del 3,38 per cento, ma del 40,8 per cento). Ma sono due soprattutto gli argomenti fallaci.
Fallacia numero uno: Rizzo elenca una serie di ragioni degli incrementi tariffari osservati negli ultimi anni (dal boom degli incentivi alle rinnovabili fino agli sgravi per gli energivori) e chiosa “sarebbe doveroso che qualcuno ci spiegasse come questo si concilia con la missione affidata dal Parlamento all’Autorità per l’energia” e cioè “definire un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori”. La spiegazione è semplice: tutte le cause citate da Rizzo non nascono da sghiribizzi dell’Autorità, ma da leggi approvate dal Parlamento a cui il regolatore è tenuto a dare attuazione. Si può discutere se gli incentivi alle rinnovabili siano troppo generosi, se sia sensato ribaltare su pmi e famiglie parte degli oneri teoricamente gravanti sulle imprese energivore, se nella remunerazione degli operatori di rete vi sia eccessiva accondiscendenza: ma approfondire ciascuno di questi temi implica una disamina articolata, ricca di pro e contro, che non si può risolvere in una tirata contro l’istituzione e chi, pro tempore, la regge.
Questo non significa che l’organismo presieduto da Guido Bortoni sia esente da critiche, errori o forzature; né che non si sia mai spinto al di là delle proprie competenze. Significa però che, specialmente in temi così tecnici, il massimalismo è paradossalmente un ombrello contro ogni forma di responsabilizzazione e ogni esame critico dei suoi comportamenti: dire che nulla funzione – quando in tutta evidenza ciò non è vero – significa rinunciare alla possibilità di esprimere posizioni articolate e fondate.
In particolare, gli aumenti dell’energia nel primo trimestre 2018 sono legati in parte a ragioni di mercato, in parte a scelte politiche o regolatorie. Delle ragioni politiche o regolatorie – in buona parte dovute a leggi votate dal Parlamento – abbiamo già detto.
Vale dunque la pena soffermarsi sulle ragioni di mercato, perché aiutano a mettere a fuoco una seconda questione. Rizzo non avrà difficoltà a riconoscere che, in qualunque mercato, se aumenta la domanda di un bene (o se ne riduce l’offerta) i prezzi aumentano: ebbene, nel nostro caso si sono verificate entrambe le cose. Perfino a Repubblica si saranno accorti, d’inverno fa freddo e la gente tende pertanto a consumare di più per scaldarsi. Inoltre, una serie di problemi agli impianti nucleari francesi e la scarsità delle piogge nel corso del 2017 hanno limitato, rispettivamente, la disponibilità di import e la produzione idroelettrica. Tutto ciò è chiaramente illustrato nel comunicato dell’Autorità e ancor più chiaramente spiegato in questo articolo di Jacopo Giliberto del 29 dicembre scorso.
A queste spiegazioni, Rizzo pare disinteressarsi completamente. Il suo ragionamento muove da un assunto implicito: se i prezzi aumentano è un male, e il male trova come unico responsabile una qualche figura istituzionale (oggi l’Autorità, domani il Ministero, dopodomani l’Onu…). Questo assunto riflette la totale incomprensione di cosa sia un “prezzo” – cioè un segnale di scarsità relativa – e della funzione che esso svolge (vale a dire, determinare l’allocazione delle risorse). Per Rizzo, i prezzi hanno un ruolo puramente redistributivo: quindi un aumento della bolletta elettrica implica un mero trasferimento di risorse dalle famiglie al Big Business. Il loro aumento (o la loro riduzione) non produce alcun aggiustamento negli stili di consumo, né nel breve né nel lungo termine. Lo schema concettuale sottostante è quello che, in un epico post su noiseFromAmerika, Sandro Brusco chiama il “modello superfisso” (si parva licet, qui la mia applicazione del modello superfisso all’energia).
In sintesi, nel modello superfisso la domanda è data, i metodi di produzione sono dati e la tecnologia non evolve. Quindi, il regolatore può decidere indifferentemente di aumentare o tagliare i prezzi: nel primo caso sarà un venduto alle lobby, nel secondo un eroe dei consumatori. Che il regolatore abbia o non abbia effettivi poteri in tal senso, che in ogni caso le sue decisioni abbiano conseguenze anche allocative e non solo redistributive, che le variazioni dei prezzi riflettano dinamiche di mercato e scelte politiche che semmai andavano messe in questione quando sono state assunte (e non quando producono gli effetti attesi) sono tutti problemi che Rizzo non ritiene di doversi porre.
In breve, il modello superfisso ha due grandi pregi, chiarezza e semplicità, ma un piccolo difetto: è totalmente sbagliato. Lo stesso vale per l’editoriale pubblicato oggi su Rep. Per l’occasione, lo potremmo chiamare il modello super-Rizzo.
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