I dipendenti dell’Arma sono militari, impegnati alla fedeltà alle leggi, all’obbedienza e subordinati in modo rigidissimo ai diversi livelli gerarchici. E i vertici dovrebbero domandarsi seriamente come sia potuto accadere tutto ciò
La vicenda della caserma dei carabinieri Levante di via Caccialupo a Piacenza solleva interrogativi gravissimi. Che non possono essere sottostimati, ricorrendo al consueto omaggio al valore e alla fedeltà dell’Arma. Nè ridotti a “caso isolato” o a “mele marce”. Così non si farebbe un buon servizio né ai Carabinieri né al paese. La vicenda inoltre ha in sé qualche cosa di intimamente odioso per quella parte di violenze e ricatti nei confronti della piccola delinquenza dello spaccio di droghe. Che ha una profonda diversità rispetto ad altri reati. Le cifre in ballo: un flusso continuo di contanti che inquina ogni rapporto come già constatato in altre vicende. E su cui andrebbe fatta una riflessione più approfondita. Non stiamo parlando della polizia di New York che conta decine di migliaia di persone in servizio. Stiamo parlando di una modesta stazione di provincia con qualche decina di militi, dove l’omertà rispetto a comportamenti criminosi oltre che intollerabile dovrebbe essere praticamente impossibile viste le ridotte dimensioni e la vicinanza di tutti con tutti. E’ difficile immaginare o pensare che “nessuno sapesse”. Il che ci porta ad alcune domande successive. Quali sono i sistemi di controllo, di verifica del rispetto delle leggi, le procedure in atto non a Piacenza, ma nell’Arma dei Carabinieri? Come è possibile che nessuno, a cominciare dai diretti superiori, salendo poi su per i vari rami gerarchici, si sia accorto di niente? Quali sono i sistemi di valutazione dell’operato di ogni livello gerarchico? Ho abbastanza esperienza di vita aziendale per sapere che quando, anche in aziende molto grandi, si verificano violazioni delle norme di questa gravità ciò può avvenire solo per due motivi. Inadeguatezza delle procedure di controllo e connivenza dei livelli gerarchici superiori. O per un terzo, ancora più grave. Vale a dire per l’esistenza di una cultura aziendale, un comune sentire che tollera pur di fare “risultato” qualsiasi devianza dalle buone pratiche.
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