Rossana Rossanda non ha mai fatto finta di non vedere

Stefano Menichini

Addio alla giornalista che ha combinato per una vita intera il massimo di spirito critico e di libertà di pensiero con una inscalfibile tenacia e testardaggine nell’adesione all’ideale originario, alla motivazione di una intera esistenza

Ne ha fatti di errori, e clamorosi. Li ricorderanno, lo diranno e ne scriveranno in queste ore, fra i tanti meritati omaggi e il cordoglio. Lo spero sinceramente, perché lei lo avrebbe fortemente voluto. Per quanto dotata di un considerevole amor proprio, l’orgoglio intellettuale di Rossana Rossanda non consentirebbe mai di espropriare la ragazza del secolo scorso dei suoi errori. Del suo torto, per parafrasare il claim di una famosa campagna promozionale del manifesto tanto azzeccata, appropriata e fortunata, quanto per me motivo di sofferenza e dubbi.

 

Una persona, una donna: sono tanti aspetti diversi che è ingiusto e impossibile ridurre all’unicum del suo ruolo pubblico. Sarebbe e sarà giusto farlo anche per Rossana, come già fece lei raccontando di sé giovane a Pola e del cammino nel gruppo dirigente comunista, sempre stato per lei e per tutti loro intreccio inestricabile di totalità politica e di vibrante privato.

  

Rossana Rossanda con Aldo Natoli (Ansa)

Però nel suo caso è davvero difficile scostarsi troppo dall’ingombro del ruolo e della posizione pubblici e politici, mai esibiti eppure davvero esemplari. Escluso lo stereotipo della frivolezza, difficilmente applicabile a Rossanda, quando si farà la rassegna degli intellettuali di sinistra del secondo Novecento lei ne sarà la figura penso più emblematica. In un aspetto soprattutto: aver combinato per una vita intera il massimo di spirito critico e di libertà di pensiero con una inscalfibile tenacia e testardaggine nell’adesione all’ideale originario, alla motivazione di una intera esistenza. Nonostante tutto, nonostante il torto visibile e visto del comunismo in ogni sua possibile accezione e versione terrena.

  

Tanti altri a un certo punto si sono ritratti, si sono rimodulati, si sono silenziati o ribaltati. Lei, mai. Eppure più di tanti altri ha sempre voluto guardare dritto negli occhi l’errore e l’orrore, gli ha sempre dato un nome e l’ha dichiarato: quando era quello del socialismo reale sovietico (e il Pci era di là dal riconoscerlo); quando era quello della diretta discendenza del terrorismo rosso dal ceppo comunista (“l’album di famiglia”); quando erano la stagnazione totalitaria cubana o gli esiti drammatici del maoismo in cui tanto (troppo) aveva creduto. Oppure – fenomeno storico tutto sommato almeno non tragico e letale come gli altri – la definitiva rinuncia della sinistra italiana a identità, radici e carica di cambiamento rivoluzionario dell’esistente.

 

Qui c’è il punto, qui c’è la differenza, qui in fondo anche il fallimento di una leader politica che non ha mai voluto esercitare una leadership.

   

Esauriti tutti gli errori. Consumati tutti gli orrori. Scartate e fallite via via tutte le alternative. Fattasi evidente l’impraticabilità di ogni rivoluzione. Quando umanamente e comprensibilmente ognuno (di noi) si adeguava all’esistente e tutt’al più a renderlo appena più morbido e accettabile, Rossana Rossanda restava dura come una roccia a ricordarci, con l’asprezza di quella voce sempre più flebile, che nessun riformismo possibile riuscirà mai a rendere accettabile ciò che è implacabilmente inaccettabile: l’ingiustizia connaturata del capitalismo. Lo sfruttamento non emendabile dell’uomo sull’uomo. Il fondamento non riformabile del conflitto di classe. Puoi decidere di non vederlo, di far finta che non ci sia, di accettarlo come dato immutabile, e andare avanti lo stesso. Lei non l’ha fatto. Gentilmente e gelidamente, non ha chiesto ad altri di imitarla. Però conosco tanti e tante, al manifesto e dintorni, che hanno faticato e un po’ anche sofferto dovendo portare il peso del rimprovero – implicito, ma spesso piuttosto esplicito – di colei verso la quale provavano rispetto, ammirazione, riconoscenza per aver dato coraggiosamente vita a una delle avventure politiche, umane e professionali più interessanti del dopoguerra.

   

È quando si arrivava a questa roccia inscalfibile, che l’interesse e l’apertura di Rossana verso le correnti grandemente innovative del femminismo e dell’ambientalismo si incagliava: se né la rivoluzione delle donne né il paradigma ecologico potevano davvero capovolgere la logica capitalista, rimanevano importanti moti di cambiamento ma sempre insufficienti, parziali.

  

Non potendo e non volendo né seguire né imitare – e in definitiva neanche accettare – questa irriducibilità, rimane dentro chiunque ci sia passato l’enorme valore dello stimolo intellettuale e, azzardo, della testimonianza etica: non dimenticare mai, nel corso della tua battaglia politica o del tuo lavoro intellettuale, che stai comunque praticando una parzialità, che rimarrai in ogni caso lontano dal risultato che dici di voler conseguire o sognavi di conseguire nella tua giovane età.

 

Non sarà esaltante, ma aiuta molto a mantenere le proporzioni, a ridimensionarsi, a non confondere il relativo con l’assoluto.

 

Del resto, con le enormi e famose differenze che c’erano fra loro, i fondatori del manifesto hanno tutti avuto questo tratto comune. Hanno dato vita, insegnamento e spinta a una comunità cangiante nel tempo di ragazze e ragazzi che tutte e tutti, per quanto di qualità e in gamba, non si esaltassero troppo per zelo rivoluzionario o per eccellenza individuale. La percezione di trovarsi a un solo grado di separazione dalla generazione di Togliatti forgiata nel ferro e nel fuoco era emozionante naturalmente, ma un filo di inquietudine poteva attraversarti quando di quell’epoca e della prassi di quel gruppo dirigente avvertivi il residuo di durezza (questo non vale per Valentino Parlato, naturalmente, che dell’invito a rimanere sempre coi piedi per terra era per primo esempio vivente).

   

Diciotto anni di frequentazione quotidiana – prima reverente e distante, poi via via con maggiore confidenza – seguiti da altrettanti di osservazione distante: condivido un’esperienza e una conoscenza con tante e tanti altri, meno di tante e tanti altri. Tutti siamo debitori a Rossana Rossanda di una incredibile opportunità esistenziale e della rara chance del lavoro quotidiano ispirato e misurato su uno standard intellettuale molto alto. Siamo stati fortunati, davvero, e neanche sempre dalla parte del torto. Spero che fino all’ultimo dei suoi tanti e interessanti giorni di vita Rossana Rossanda abbia potuto percepire la riconoscenza di un paio di generazioni di giornalisti e di intellettuali: non so se fosse una cosa così importante per lei, ma per noi sì.

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