La barriera di Venezia
Lezioni per l'Italia da una diga chiamata Mose
Storia di una delle opere di ingegneria idraulica più famose del mondo. La dimostrazione dell'eccellenza che il nostro paese sa mettere in campo
Per la prima volta la paratia contro l'acqua alta si alza e Piazza San Marco rimane all'asciutto. Il Mose è l'esempio perfetto di cosa succede quando uno stato inefficiente blocca le opere a colpi di burocrazia
La storia del Mose è una storia che può essere affrontata da mille punti di osservazione diversi ma forse è prima di tutto questo: la storia di una delle opere di ingegneria idraulica più famose del mondo e la dimostrazione dell’eccellenza che l’Italia sa mettere in campo. La storia del Mose è questo ma è anche altro. E se ci si pensa bene è lo specchio di cosa succede quando uno stato inefficiente blocca l’Italia a colpi di burocrazia.
Come hanno scritto bene in uno splendido pamphlet pubblicato nel 2014 Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri, il caso del Mose è un esempio emblematico di quanto in Italia la realizzazione di un’opera pubblica, a partire dal progetto e dall’appalto, inneschi un meccanismo che, tra tempi, mancanza di controlli e costi che lievitano, porta quasi inevitabilmente a fenomeni corruttivi.
Al contrario di quello che molti potrebbero credere, però, il peccato originale del Mose non ha a che fare con la presenza di privati senza scrupoli pronti a trasformare la grande opera in una gigantesca mangiatoia, ma ha a che fare con altro. Ovvero sia con la presenza di alcune leggi che hanno permesso allo stato di concedere senza alcuna gara a un piccolo numero di imprese il monopolio dei lavori. Secondo le stime fatte nel 2014 da Giavazzi e Barbieri, i maggiori costi dovuti al peccato originale di aver affidato i lavori in monopolio ammontavano già all’epoca a oltre 2 miliardi di euro (le imprese che fecero parte del consorzio erano le stesse a cui il consorzio doveva rivolgersi per i lavori). Ci voleva così tanto per capire che gli studi, le sperimentazioni e i controlli di un’opera non andrebbero affidati a chi poi deve realizzare i lavori? Ovviamente no.
Il vero dramma del Mose dunque non riguarda solo la corruzione che è stata involontariamente agevolata da uno stato non interessato a promuovere efficienza ma riguarda anche un altro passaggio da molti rimosso che anche qui ricorda da lontano la storia dell’Ilva.
Fino al 2013, con grande lentezza, il Mose era un progetto che stava a poco a poco prendendo vita (come sostenne conversando con questo giornale anni fa Ercole Incalza parlando dell’alta velocità, “Se pure un’opera fosse costata il 10% in più, io dico: vivaddio, almeno esiste”). E poco prima che il governo Renzi nel 2015 decidesse di commissariare il consorzio affidando tutto il pacchetto all’Anac di Raffaele Cantone l’opera (dicembre 2014) era stata completata all’84 per cento.
Negli anni successivi, dal 2015 a oggi, il commissariamento, arrivato dopo anni di battaglie ambientaliste combattute non contro lo stato inefficiente ma contro le imprese che facevano parte del consorzio, ha rallentato a tal punto i lavori da aver reso difficile utilizzare alcuni ingranaggi del Mose lasciati per troppo tempo non in funzione.
Oggi il Mose sembra sta funzionando. E oggi è un giorno di festa. E oggi c’è una doppia lezione che si può osservare. La prima lezione e su cosa è in grado di fare l’Italia quando mette in campo tutta la sua forza innovativa - e in giro per il mondo, opere come il Mose non si trovano facilmente. La seconda lezione è su cosa dovrà fare in futuro l’Italia per evitare di mettere il nostro paese nelle mani di una burocrazia inefficiente che con il suo peso rallenta la capacità dell’Italia di governare il futuro. Oggi però si festeggia. Viva il Mose!