Quando Genova incontrò Dolcenera
"Era un carnaio di disperazione, di fango e paura". Cinquant'anni fa l'alluvione del capoluogo ligure
"Nera che porta via che porta via la via
Nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera
Nera che picchia forte che butta giù le porte
Nu l'è l'aegua ch'à fá baggiá
Imbaggiâ imbaggiâ
Non è l'acqua che fa sbadigliare
(ma) chiudere porte e finestre chiudere porte e finestre
Nera di malasorte che ammazza e passa oltre
Nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna
Nera di falde amare che passano le bare
Âtru da stramûâ
 nu n'á â nu n'á".
Chi in quel 7 ottobre del 1970, cinquant'anni fa oggi, stava o passava per Genova e dintorni non ha dimenticato e non potrà mai dimenticare l'incontro con Dolcenera. "Era un carnaio di disperazione, di fango e paura", racconta al Foglio Ettore Folà, ora pensionato all'epoca panettiere. Dal suo forno prima vide la pioggia incessante, "poi i torrenti salire, superare gli argini, travolgere e portarsi via tutto". Genova trascinata al mare "con le vite di chissà quante persone". Vite reali, trentacinque i morti, vite accumulate in case e cose. "E un senso di vuoto incolmabile. L'idea che si è microscopici, assolutamente inermi davanti alla forza selvaggia della natura. Non ho mai provato un senso di solitudine così grande".
La solitudine di Anselmo nel brano di Fabrizio De André innamorato di una donna che sa che non potrà mai avere.
"Quel giorno persi un caro amico e forse finì la mia adolescenza, se mai c'era stata. L'inondazione mi diede uno schiaffo di realtà, cercai di dare una mano, come tanti. Lo facevamo perché era giusto farlo, forse per non pensare davvero a cosa era successo".
Lo straripamento del torrente Bisagno, del Fereggiano e del Leira e la quasi esondazione dello Sturla, del Polcevera, del Chiaravagna e del Cantarena, "fu un incubo dal quale ci volle tempo per riprenderci. Da un po' quell'incubo è una canzone. E pure io ora chiamo Dolcenera quel momento che ancora non riesco a scordare del tutto".