Alle 9,48 il feretro giunge al Campidoglio su un carro funebre Mercedes scortato da scooter dei Vigili urbani e Carabinieri e moto della Rai tipo giro d’Italia. Si arrampica su verso il palazzo Senatorio e subito parte una sirena tipo saluto navale: si pensa a qualche complicato cerimoniale nautico (forse Gigi Proietti era stato in Marina?) ma poi si ode una voce: “è l’allarme del ponteggio, poi smette”, dice uno dei rari impiegati del Comune non in smart working. E un’altra, con una mascherina leopardata: me viè da piange. E poi piange. E’ il cliché supremo, ma Roma, Roma derelitta, ininfluente, degradata, sa dare il meglio e si risolleva proprio nei funerali, in questi abbraccioni municipali urbi et orbi. Certo anche le feste, però i funerali ancor di più, perché c’è pure la malinconia. E anche in questo caso, pur con la pandemia e i protocolli, Roma non si fa guardare dietro da nessuno. Funerale spacchettato, per evitare assembramenti, funerale opposto a quello d’Alberto Sordi, diciassette anni fa, con le folle immense. Qui invece grande compostezza e mani in tasca, è il primo funerale contactless. Non si sa chi l’abbia progettato, forse il grande cerimoniere di questo show, Walter Veltroni. Ci si chiede anche se il Comune come Buckingham Palace abbia dei protocolli segreti da attivare, tipo “London bridge” per la regina madre, qui magari chiamati Ponte Milvio o Mammolo. Comunque: tre tappe. Campidoglio, poi il Globe Theatre, il teatro immerso nei boschi di villa Borghese, poi la chiesa a piazza del Popolo. Timing perfetto. Il carro funebre con product placement (cartello Onoranze Funebri città di Roma, tel. 800 20 30 30 in bella vista) dopo il saluto del presidente del Consiglio comunale (la Raggi è in quarantena) alle dieci in punto riparte. Il corteo attraversa i Fori e via del Corso a passo da parata. Passa davanti alla galleria già Colonna e poi Sordi (e che gli intitoleranno, a lui?). Sale su da via Veneto ed entra a villa Borghese, nel magnifico teatro voluto da Proietti medesimo, blindatissimo. Sta proprio di fronte a piazza di Siena, quella del famoso concorso ippico. Questo, più tutto l’epos di Mandrake e Soldatino, fanno sì che col passare dei minuti il fuori del funerale diventi tipo Capannelle: cavalli della polizia a cavallo, dei Carabinieri (in quota Maresciallo Rocca), forse di altre forze dell’ordine. Tutto un nitrire. All’ingresso, boccione sanificante per le mani della farmacia Mazzini. Arriva il feretro, partono applausi. La diretta che tutti guardiamo sui telefoni zumma su Veltroni. La Raggi collegata su Zoom dice che gli intitoleranno il teatro medesimo (ecco). Dentro c’è la famiglia di Proietti, e Veltroni, accanto a loro. Parlano amici e allievi, la Laurito piange, Pino Quartullo ricorda che come prima performance Proietti chiedeva ai suoi attori di fare il soffio del cavallo, “lo sbruffo”, insomma aumenta se possibile il mood equino del tutto. Forse per motivi tecnici lo zoom della Raggi sui telefonini non si vede, non si sente neanche la voce, almeno nel mio: vedo invece in loop gli applausi scroscianti e le lacrime dei parenti e la faccia di Veltroni, temo un colpo di Stato (sarebbe un momento perfetto), ma poi parla Veltroni, fa un bellissimo discorso evocando una Roma in cui tutti si vogliono bene, con le matrone affacciate alla finestra. Cita il Riccardo III e poi dice “Gigi ma chi non è romano come fa a capì sta città”, e insieme agli stornelli che arrivano da fuori si cade in quell’eterno folklore romano tra hostaria e sublime, ecco i pini di Roma, la vita non li spezza: spunta la lacrima anche ai più cinici.
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