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Cent'anni anni di Leonardo Sciascia

L'8 gennaio del 1921 nasceva a Racalmuto, provincia di Agrigento, lo scrittore siciliano. Abbiamo raccolto il meglio di quanto abbiamo scritto in questi anni

È passato un secolo da quel pomeriggio dell'8 gennaio del 1921 quando a Racalmuto, in provincia di Agrigento, nasceva Leonardo Sciascia. Cent'anni che hanno visto trasformare “la storia di Leonardo Sciascia nella storia d’Italia”, ha scritto Nadia Terranova sul Foglio. “E noi non sempre ce ne siamo accorti, impegnati a travisare la sua Sicilia come un insieme di fatti legati a isolitudini e isolamenti, ignorando che, attraverso la lente che i natali gli avevano messo dentro la culla, Leonardo Sciascia non ha scritto della Sicilia ma della nazione, del mondo intero”. Uno scrittore capace in vita di non essere utilizzato da nessuno e di scontentare tutti "cattolici, siciliani, giornalisti, mafiologi più o meno improvvisati, esperti e finti esperti di ogni settore contribuirono a lanciare sassi su uno scrittore impossibile da tirare da una parte o dall’altra, o meglio: da un’altra parte che non fosse quella della ragione, intesa non come vittoria sul torto ma come raziocinio – e quindi destinata, se non a perdere, a restare mal compresa", ha scritto sempre Nadia Terranova.

   

      

Leonardo Sciascia "vagò per il Novecento riuscendo a tradurre in parole la complessità di questo secolo, illuminando con la sua incredibile intelligenza sia le piccole storie quotidiane sia i grandi casi italiani", scrisse Umberto Eco qualche anno dopo la morte dello scrittore. Grandi casi italiani come il caso Moro. “Oggi, passati quarant’anni e riempitesi mensole di paccottiglia complottista sull’argomento, la lettura di quel libro – che nelle sue ultime edizioni contiene in appendice anche la relazione di minoranza che Sciascia, da deputato radicale, firmò al termine della prima commissione parlamentare d’inchiesta – è una esperienza sorprendente. In quelle poco più di cento pagine c’è già tutto l’essenziale. Gli elementi più controversi sono messi in fila fornendo a essi, fin dove è possibile, una spiegazione plausibile”, ha scritto Massimo Bordin in una delle sue Bordin Line.

   

  

Era il 1978 quando lo scrittore pubblicava L'affaire Moro, il suo libro inchiesta sul sequestro, il processo e l'omicidio nella cosiddetta “prigione del popolo” del politico democristiano organizzato dalle Brigate Rosse. Nel giugno del 1979 accettò la proposta dei Radicali di candidarsi sia al Parlamento europeo sia alla Camera. Eletto in entrambe le sedi istituzionali restò a Strasburgo due mesi per poi sedersi per Montecitorio, dove rimarrà fino al 1983 per occuparsi dei lavori della Commissione d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Moro (con una forte critica rivolta alla cosiddetta “linea della fermezza”) e sul terrorismo.

  

Lo scrittore siciliano nei suoi anni di parlamento divise l’establishment con le domande su giustizia e potere, ricordò Gianfranco Spadaccia nella prefazione di “La memoria di Sciascia”: "Sciascia è stato durante tutta la sua vita e in tutta la sua opera scrittore politico. Lo è stato più di qualsiasi altro uomo di lettere del suo tempo, più di Italo Calvino, più di Elio Vittorini, più dello stesso Pier Paolo Pasolini. Scrittore politico per eccellenza e non certo per i suoi contrastanti rapporti con il Pci o per essere stato per un breve periodo consigliere comunale a Palermo e poi, nella legislatura 1979-1983, deputato Radicale ma perché tutti i suoi libri – non solo gli articoli, i saggi, i pamphlet ma anche i romanzi e i racconti – sono sempre attraversati dagli interrogativi, dalle gravi questioni etico-politiche che riguardano la vita del paese e il governo della polis: i rapporti fra il Potere (i poteri) e i cittadini, fra lo Stato e il diritto, fra la verità e l’impostura". Uno scrittore politico che la politica ha cercato di dimenticare.

   

  

Uno scrittore politico che si occupò spesso e volentieri di giustizia, ma una giustizia giusta, così lontana e così diversa da quella che ancora oggi continua a essere un problema dell'Italia, come sottolineato da Adriano Sofri, che era partito proprio dal giudice di Sciascia per smascherare i difetti del sistema giudiziario italiano.

    

Ma Sciascia non fu solo scrittore. “Per vent’anni, fino alla morte, oltre che fondatore, fu reinventore delle pratiche editoriali di Sellerio. 'Consulente' sarebbe come minimo riduttivo e Salvatore Silvano Nigro usa invece l’espressione corretta, 'editore in casa Sellerio', per presentare la ripubblicazione del volume Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri. Tornato dopo sedici anni sugli scaffali, non è un semplice tracciato del lavoro di Sciascia, è la sua biografia editoriale: contiene i risvolti di copertina, le schede, le introduzioni ai brani delle antologie da lui ideate e curate. Risponde alla domanda su quanti e quali siano i suoi libri, se quelli che ha scritto, quelli che ha curato, quelli che ha scoperto, quelli che ha antologizzato, e la risposta è: tutti, pure quelli che non ha pubblicato”, ha ricordato Nadia Terranova.

 

   

Molte volte in questi anni ci siamo detti: "Ah se ci fosse stato Sciascia". Il nostro Stefano Di Michele lo diceva spesso, lo scrisse anche quando si occupò del mistero della sparizione del professor Federico Caffé. "Il libro di Leonardo Sciascia sul fisico sparito, 'La scomparsa di Majorana', non fu più trovato nella biblioteca del professore. Chissà: se un’illusione, se una traccia anch’essa ormai svanita. C’è però quel ritratto che Sciascia fa di Majorana, e che perfettamente sembra adattarsi a Caffè, 'il dover rispondere alle premure e sollecitazioni degli amici, il dover fare quel che gli altri facevano o quel che gli altri da lui si aspettavano, e insomma il dover adattarsi di un uomo inadatto'”.

 

   

Leonardo Sciascia morì il 20 novembre 1989, a 68 anni, in seguito a complicazioni della grave malattia che lo affliggeva. Sulla sua tomba volle che venisse inciso “qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l’Isle-Adam: 'Ce ne ricorderemo, di questo pianeta'. E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano”.

 

Morì da provinciale come sempre s'era descritto e come sempre aveva voluto sottolineare. Nadia Terranova lo raccontò qui.

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