Nella grande messe di articoli, ricordi, saggi che hanno celebrato nelle scorse settimane i cento anni della nascita di Leonardo Sciascia cesellandone l’attività di scrittore, di archeologo del sapere, di intellettuale engagé, di giornalista e uomo politico, manca una qualità che – confidando nell’indulgenza del Maestro di Racalmuto – gli si potrebbe tributare. Sciascia sarebbe stato anche un grande cronista parlamentare, di quelli col taccuino in Transatlantico, quelli che oltre alle parole tracciavano schizzi e vignette e poi ne ricomponevano il racconto. Una commedia, un romanzo, un gioco di specchi. La crisi-non crisi di governo che ci siamo appena lasciati alle spalle, o nella quale forse siamo tuttora immersi, è l’immagine da commedia tragica di una nazione irresolubile, di una immobilità fluida. Sciascia l’aveva narrata alla perfezione, questa crisi nella sua essenza italiana, molti anni fa. Facendo di fatti veri un apologo più universale. Il Consiglio d’Egitto, il suo secondo romanzo, uscì nel 1963. Ma a leggerlo in questi giorni e prendendolo alla leggera (ci perdonerà il Maestro), cioè lasciando al loro posto la precisione dello scavo storico, la stratificazione di filosofia, religione e illuminismo, Spirito delle leggi – tutte cose, si sa, estranee al dibattito attuale – è il racconto perfetto della crisi del Conte bis-quasi ter.
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