Ma come vuole che facciano a chiuderci, siamo attaccati a Milano, lavorano tutti in giro”. L’ultimo caffè nella pasticceria sotto casa, entro le fatidiche ore 18 di mercoledì 17, con il bancone pieno di chiacchiere perché qui è ancora Carnevale anche se nessuno ne ha voglia. Invece sì, la mattina dopo ci hanno chiusi dentro. Almeno per così dire. Le pattuglie dei vigili, persino quelli in trasferta dai comuni limitrofi. L’esercito. “Un po’ assurdo, addirittura le armi a tracolla” (le chat locali, vox populi). Zona rossa per davvero, variante inglese. C’è stata la prima vittima, una signora anziana contagiata dalla figlia che lavora nella famosa scuola infetta: 59 contagiati scoperti a fine gennaio (“Ma che senso ha aspettare tre settimane?”, le chat). Qui c’erano stati 128 morti ufficiali finora, su 37 mila vivi. Bollate in fin dei conti se l’era scampata. Ora fa un po’ effetto trovarsi nei tiggì, come un focolaio londinese. Variante, indice di contagio, sicurezza e appelli del sindaco alla responsabilità. Che poi: blindati come a Codogno, come la Wuhan dell’hinterland? Macché. Giusto un colabrodo di pattuglie con le maglie un po’ più strette di prima. Tipo a Natale. Ma tutti hanno un’autocertificazione necessitante, a giudicare dal traffico. Tranne giusto gli studenti rimessi in Dad che non possono andare a scuola fuori comune. E anche le elementari a casa, asili e materne compresi. Siamo noi, l’unica zona rossa di Lombardia che abbia dimensioni di piccola città, e per di più assembrata sul confine indiviso della metropoli.
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