Musée Carnavalet (Ernest McGray, Jr. via Flickr) 

Follie, secolo n. 21

Abbasso i numeri romani

La gente non sa leggere e il museo abolisce Luigi XIV. Si chiamerà "14"

Maurizio Crippa

Aveva iniziato il Louvre, ora lo fa il Musée Carnavalet di Parigi. Niente più numerazione romana perché molti visitatori non la conoscono, E anche le didascalie, non più di 1.500 battute: se no nessuno le legge. Ma i musei non dovrebbero stimolare l'istruzione e la cultura? Sullo sfondo, un altro abbandono della storia e dell'arte dell'occidente

Il Louvre, essendo il più importante museo del mondo, aveva già avviato la rivoluzione, o involuzione forse è il caso di dire, qualche anno fa. Il Carnavalet, che è pur sempre il magnifico museo della Storia di Parigi a due passi da Place des Vosges, ci è arrivato ora, dopo quattro anni dedicati a una meticolosa risistemazione: hanno abolito i numeri romani. D’ora in poi, i visitatori potranno ammirare opere d’arte e suppellettili dell’epoca di Luigi 14, leggere notizie su Enrico 4, o spalancare la bocca davanti alla celebre immagine della testa di Luigi 16 spiccata sventolata dal boia. Il resto della Storia è finito ghigliottinato, come il re. Il motivo del cambiamento non avrebbe nemmeno bisogno di essere spiegato: la maggior parte dei visitatori – quelli provenienti da culture linguistiche diverse, l’Asia o il mondo arabo, ma anche un gran numero di europei – non sono più in grado di leggere i numeri romani. E anziché mettere una legenda all’ingresso, o aggiungere una parentesi al cartello espositivo con il numero arabo ordinale, hanno preferito tagliare la testa al passato. Al Louvre per il momento si sono limitati ad abolire i romani nella numerazione dei secoli, ma il celebre ritratto del Re Sole di Rigaud ha conservato la sua targhetta: XIV. Il fatto comunque resta.

 

Il Figaro, raccontando la vicenda, è partito da una vecchia battuta del trio comico Les Inconnus, famosi quanto da noi Aldo Giovanni e Giacomo, che in uno sketch in berretto frigio gridavano “a morte Luigi croce-v-bastone”. Notando, però, che ciò che faceva ridere trent’anni fa è oggi una banale realtà.

C’è infatti qualche problema in più, oltre alla numerazione romana. La responsabile delle relazioni col pubblico del Carnavalet, Noémie Giard, spiega che “tutti constatiamo regolarmente che la maggior parte dei visitatori legge poco i testi esplicativi nelle sale, soprattutto se sono troppo lunghi”. Così nel restyling del museo didascalie e apparati informativi sono stati ridotti, non più di mille, mille e cinquecento caratteri. Di più, il turista medio globale non è in grado di intendere, né di volere. In questo, c’è ovviamente anche una parte di verità: tutti i musei, e tutte le istituzioni culturali, si stanno attrezzando per costruire una diversa comunicazione, meno verbale, immediata nell’èra neo-geroglifica di Instagram e dei simboli grafici. 

 

Abdicare però, tout court, alla possibilità che un cittadino (e pensiamo agli studenti delle scuole, cui ovviamente i numeri romani non si prova nemmeno a insegnarli) possa imparare a decifrare un sistema numerico semplice e limitato, o che un visitatore asiatico non possa essere stimolato a fare altrettanto (mentre noi, bianchi occidentali dunque colonialisti, ci industriamo a comprendere gli ideogrammi) è un brutto affare. C’è poi un aspetto più generale, sotteso alla decisione di importanti istituzioni colturali che dovrebbero, oltre a staccare ticket, anche conservare la storia e la memoria: abolire la numerazione romana di una sala di museo o sotto un quadro è come ammettere che quella storia, quella cultura e persino l’arte che hanno generato non esistono più. E non serve neppure conoscerle.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"