dall'archivio
A un anno dalle bare di Bergamo. Il ricordo dall'archivio del Foglio
È la giornata in memoria delle vittime del Covid-19. Reportage e testimonianze. Lettere dai luoghi della crisi. Immagini, ricordi, parole e dolori. Una raccolta fogliante
Le fotografie del convoglio militare di Bergamo. Lo sgomento di una guerra, di una solitudine, che non conoscevamo. Esattamente un anno fa qualcuno da una finestra riprendeva questa scena e la pubblicava online. Presto sarebbe diventata il simbolo del dramma della pandemia che si allargava anche in Italia e che colpiva più forte al nord.
Il cielo già livido della sera dietro a quella fila di camion militari, fermi in attesa davanti all’architettura gigantesca e cupa, come senza conforto, del Cimitero monumentale di Bergamo. Poi la notte già scesa, illuminata solo dai fari dei camion militari che attraversano la città in silenzio. In colonna di guerra, non in corteo. Senza ali di folla, senza un saluto o un fiore, la città ricacciata indietro dalle regole e da uno sgomento troppo grande anche per affacciarsi alla finestra. Trenta camion dell’esercito che trasportano sessantacinque bare, una parte persino piccola delle sue vittime che Bergamo non può più nemmeno seppellire, non riesce nemmeno più a cremare. Sono le fotografie di mercoledì 18 marzo 2020, non se n’erano ancora viste di così strazianti, e solenni, nella storia (allora breve) della nostra pandemia. Di così mute, anche. Le fotografie per natura non parlano, ma molte volte le più drammatiche sembra di sentirle urlare, di sentirne i rumori, i pianti. Da quelle fotografie di camion militari, l’esercito d’Italia, che sgomberano la città come tanti carri di monatti, sale il silenzio.
Ha chiuso il cimitero, perché troppi anziani continuavano ad andarci, ammassati sul pullman che partiva dal centro di Bergamo; si è messo la mascherina (per la loro salute) ed è andato a trovare i carcerati della casa circondariale; ha richiamato a casa le due figlie che studiano in Inghilterra e il figlio che studia a Siena perché “preferisco averli qui”. "Sono un padre, sì, ma sono anche un figlio. Ho due genitori anziani, mio padre ha 91 anni, mia mamma 87. Ben prima che diventasse obbligatorio stare in casa ho chiesto loro in ginocchio di non muoversi". Insomma, già fare il sindaco in tempi normali è un caos, figuriamoci adesso. Un'intervista di metà marzo 2020 a Giorgio Gori, il primo cittadino di Bergamo.
Pensate che cosa sarebbe la morte senza le preghiere e i suffragi, senza il Dies irae e il Miserere; se non fosse accompagnata da una umanità che piange, che soffre e si dispera, e che cerca di darle conforto anche col Re minore intonato dalla banda di paese, anche con un cannolo consolatorio e il fiore di carta tenuto in mano dalle orfanelle. Né fiori né parenti in lacrime. Solo la preghiera di un monaco sulle bare accatastate nei camion. I riti gelidi del coronavirus visti da due musicanti che hanno vissuto in Sicilia la teatralità del lutto.
All’inizio erano le pagine degli annunci funerari dell’Eco di Bergamo che hanno fatto il giro del mondo, passate da una a dieci nel marzo 2020. Poi sono arrivate le cronache locali dalle case di riposo. Quasi un anziano su tre in Italia era ricoverato proprio nelle zone epicentro del virus, fra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Se n'è andata così, in silenzio, senza persino il saluto e il contatto dei propri cari, la generazione che ha ricostruito l’Italia nel Dopoguerra.
Sul perché il coronavirus abbia deciso di arrivare in Europa passando dalla porta della Lombardia, o meglio dalla porticina di paesini come Nembro, Alzano Lombardo, Orzinuovi, Codogno e Castiglione d’Adda, si fanno molte ipotesi, ci sarà molto da studiare ma ancora non c’è una risposta.
A proposito di Codogno. La paura giustificata e l'allarmismo paranoico. Le scuole chiuse, gli aperitivi sospesi e nessuno che sa davvero cosa pensare. Come si viveva un anno fa in un piccolo centro di cui il mondo ignorava l’esistenza e che ora, invece, del mondo è il centro.
E anche: quando il fatto drammatico (o virus) si attacca a un luogo come fosse “brand dell’orrore”.
Una pagina del social network dedicata allo sfogo dei tanti cittadini che hanno perso i propri cari a causa del coronavirus.
E anche le lettere dei lettori del Foglio che in quei giorni stavano vivendo in città colpite dalle misure di contenimento del contagio, in Italia e all'estero.
È l’esercito invisibile di nomadi, mendicanti, senzatetto, sofferenti psichici. Ma anche i circensi, i giostrai, gli ambulanti abusivi. Con questa epidemia ogni povertà si è fatta più acuta, più straziante e pure più insopportabile.