Processo sommario a Roth
Portnoy a Milano
Le fesserie di Jonathan Bazzi, che non conosce Gadda
Il giudizio universale a mezzo stampa è uno sport globale. Ma l'idea di Rep. di imbastirlo con gli scrittori milanesi è bizzarra. Soprattutto se si tratta di raffinati intellettuali come Bazzi, che dice: “Se su un autore, anche dopo la sua morte, anche dopo averlo letto, scopro qualcosa, il giudizio sulla sua opera deve cambiare alla luce di quello che è emerso”.
Chissà come rimarrebbe male Jonathan Bazzi, dovesse mai scoprire che l’Ingegner Gadda, oltre che borghese ossessionato dal decoro, era non soltanto uno spigoloso misantropo ma proprio un misogino della più bell’acqua, in privato; e che peggio, sul fronte letterario, di un personaggio femminile poteva scrivere “tipicamente centrogravitata sugli ovari” e altre amenità. Cosicché il Bazzi non potrebbe più leggere avanti nell’opera del Gran lombardo. Chissà come rimarrebbe male se dovesse mai scoprire che gli Scapigliati, orgoglio milanese della letteratura scagliata contro tutti i pregiudizi, erano una banda di mesti misogini (nessuna donna tra loro: quote rosa, a noi!) e dunque da infilare, pure loro, nell’indice dei libri proibiti. Il giudizio universale a mezzo stampa è lo sport globale del secolo, ma anche la versione local non si fa mancare niente. Talché le pagine di Milano di Rep. si sono fatte venire in mente l’idea, un poco bizzarra, di sottoporre Philip Roth al giudizio etico degli “scrittori milanesi”. E dunque il Bazzi, oriundo come il Davigo lomellino: “Se su un autore, anche dopo la sua morte, anche dopo averlo letto, scopro qualcosa, il giudizio sulla sua opera deve cambiare alla luce di quello che è emerso”.
Ma la zona rossa annoia, e dunque quale miglior occasione di una biografia antipatizzante di quasi mille pagine, e che in Italia quasi probabilmente nessuno ha ancora letto per intero, dedicata al mancato premio Nobel di Newark? Si sa ora (o si sapeva anche prima?) che Philip Roth non era il Mahatma Gandhi (ops!, la gaffe: pare che anche lui si giacesse con le fanciulle senza nessuna precauzione di “respect!” di genere). O insomma non era un uomo facile, né piacevole, ed era ben nutrito di un sacco di pregiudizi e scorrettezze: maschilista, misogino, forse addirittura antisemita. Che per uno scrittore di origini ebraiche è la prova provata della stronzaggine. Altro che Gadda. E allora via al processo, indiziario per forza di cose. E fatto salvo il bravo Marco Balzano – “Sono un lettore di Philip Roth, lo sono sempre stato e continuerò a esserlo. La letteratura è un territorio di assoluta libertà”, “l’idea che l’autore di un libro, di un disco, di un film non solo debba soddisfare i miei gusti artistici, ma debba avere anche il mio stesso orizzonte di valori va respinta” – per gli altri il respingimento è lecito, come per Giorgia Meloni con le navi. E il Bazzi, appunto. Chissà se, tanto per restare in ambito local e in attesa che magari un giornale di Scandicci proponga un confronto tra Roth e il disgraziato, romanzesco, Pietro Pacciani, affidato a una terna di poeti vernacolari, il Bazzi sarebbe favorevole a fare a strisce i quadri di Caravaggio, che da Milano fuggì inseguito da un’accusa di omicidio, molto prima di quello celebre che lo costrinse a rifugiarsi a Malta.
E’ pieno di brutta gente il mondo delle arti, signora mia. O quantomeno di persone dalla storia e dalla personalità sfaccettate, indecifrabili. “Controverse”, come si usa dire adesso quando si vuole intendere “stronze” ma non si osa tanta libertà di tono. L’idea di giudicare un artista in base alla sua privata corrispondenza ai canoni morali dominanti non è esattamente nuova, nella storia delle civiltà e delle religioni, e di solito ne sono discesi disastri. Ma nemmeno Giulio II, che di mestiere faceva il Papa, si interessò mai delle condotte morali di Michelangelo e Raffaello. Contava il risultato. Che è lì che parla da sé, come per i romanzi di Roth. Ma oggi il canone occidentale è ribaltato: non devono parlare le opere, bisogna far parlare gli autori (Davigo il lomellino direbbe “cantare”, perché se no finisce che vince la mentalità mafiosa). Così nel canone milanese di Rep. c’è spazio anche per la filosofa Maura Gangitano, cui ovviamente il Lamento di Portnoy è “piaciuto tantissimo”, ma giusto per distinguere l’arte dall’artista sostiene che, quando si scopre che uno scrittore non passerebbe il vaglio della nuova censura, bisogna semplicemente smettere di leggerlo.