Rileggere la storia
No, semplificare non moltiplicherà tragedie come quella di Mottarone
Lo sciacallaggio (alla Fatto quotidiano) di chi usa il dramma della funivia come un monito per non cambiare il codice Appalti
Con sintesi fulminea il Fatto ha già impartito la lezione della tragedia del Mottarone: “Le nuove norme sugli appalti moltiplicheranno simili tragedie”. E perché? Tutti gli ultimi disastri, Ponte Morandi compreso, si sono verificati con quel codice in vigore dall’aprile 2016, con 215 articoli e 25 allegati. Una mole che rende quasi impossibile metter mano proprio alla modernizzazione e alla sicurezza delle infrastrutture, ma che non ha impedito né i 14 morti della funivia di Stresa né i 43 del Morandi, il deragliamento nel Lodigiano del Frecciarossa e neppure lo scontro fra treni tra Andria e Corato (23 morti, 57 feriti), senza parlare dei 24 feriti nel crollo della scala mobile di piazza della Repubblica a Roma. Certo, tutte queste opere erano state realizzate prima dell’entrata in vigore del codice: ma perché la sua semplificazione “moltiplicherà le tragedie?”.
Come sempre si discute, con maggior cognizione, di ritardo nelle infrastrutture, di scarsa tutela del territorio e di “Italia che cade a pezzi”. Eppure in quasi tutti i disastri degli ultimi decenni alla fine è saltata fuori una verità scomoda per imprenditori, sindacati e controllori vari: l’errore umano, se non il dolo. È stato così per il Morandi e le responsabilità da accertare sono quelle della concessionaria Aspi e del ministero. Così per le ferrovie pugliesi (dove due anni prima c’era stato un incidente identico senza conseguenze). Così per un pezzo difettoso per il Frecciarossa. E così per la sciatteria nella manutenzione della metropolitana romana e dei bus Atac, dove non risultano punizioni o dimissioni dei colpevoli, anzi. Del resto la storia di queste sciagure è costellata di responsabilità ben individuate e individuabili, dalla diga del Vajont (1963, 2018 morti) alla funivia del Cermis (1998, 18 morti), abbattuta dalle evoluzioni di un pilota americano di base ad Aviano. Proprio la pericolosità delle funivie sospese dovrebbe indurre ad evitare la demagogia del “più regole uguale più sicurezza”. Fino al 1963 da Stresa si saliva al Mottarone con un trenino a cremagliera, sostituito dal ’70 dalla funivia, orgoglio allora delle località di vacanza e presenza fissa sulle cartoline.
Le Alpi ne erano, e ne sono in gran parte, piene, soprattutto le Dolomiti (anche con qualche scandalo ambientale). La Svizzera, così come ha fatto con i tir trasferiti su rotaie, sta sostituendo da anni le funivie da cento posti con seggiovie veloci, trenini anche sotterranei, ovovie, funicolari (la prossima dovrebbe essere a St Moritz sul Corviglia). Ma per farlo, oltre a rinunciare alla simbologia da anni 70, servono investimenti pubblici e privati come si è fatto per l’alta velocità ferroviaria: dal 1863 al 2020 sono stati censiti una media annua di 0,8 incidenti ferroviari gravi sulle linee tradizionali, ed in 12 anni una media di 0,15 sulle linee veloci. Nei primi la media di morti per incidente è stata di 14, nei secondi 1,5. Questo magari lo sanno anche i No Tav, che in genere sono gli strenui tifosi del codice degli appalti.