(foto Ansa)

caos capitale

Roma sommersa di monnezza. Lo scaricabarile tra Regione e Campidoglio

Gianluca De Rosa

È bastato che ci fosse qualche problema a uno dei tanti impianti fuori regione che riceve i rifiuti della Capitale perché la città si ritrovasse di nuovo sommersa. Trovata una soluzione temporanea, ma i problemi sono strutturali

Non saranno ancora tornati i turisti, ma a Roma, intanto, si rivede la monnezza. Puzzolente, incandescente, accumulata intorno ai cassonetti. Non colonna sonora, ma insopportabile olezzo di sottofondo della calda estate capitolina. È bastato che ci fosse qualche problema a uno dei tanti impianti – dalla Puglia al Friuli – che fino al prossimo 31 dicembre riceveranno i rifiuti romani per arrivare all’emergenza. La soluzione temporanea è stata trovata nel corso di un incontro a palazzo Valentini: su richiesta del Prefetto Matteo Piantedosi il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha firmato una nuova ordinanza che permette agli impianti di trattamento dell’indifferenziato di E.Giovi a Malagrotta, rimasti senza sbocchi per gli scarti, di conferire nella discarica di Viterbo per due settimane. Virginia Raggi ha annunciato anche lei un’ordinanza per utilizzare la discarica di Albano, ma dall'avvocatura della città metropolitana è arrivato lo stop: la sindaca non ne ha le competenze perché il sito è in un altro comune. Intanto, il prossimo 27 luglio, scadranno i 60 giorni che la Regione ha concesso a fine maggio alla Capitale e al comune di Latina per indicare le aree dove realizzare le nuove discariche che –  dopo il 31 dicembre, quando scadranno i contratti con le altre regioni – dovrebbero diventare la soluzione stabile al problema. A Roma si chiede di individuare un invaso all’interno dei confini comunali per i rifiuti romani e un’area nel territorio della città metropolitana per servire i comuni della provincia. Due scelte considerate indispensabili. “Se non saranno individuate le aree - promette l’assessore regionale Massimiliano Valeriani - scatteranno i poteri sostitutivi, commissarieremo il comune e sceglieremo noi”. 

 

 

Intanto, in tutto il Lazio, di discariche attive ne sono rimaste solo due: quella di Viterbo, che serve la Tuscia e la provincia di Rieti, e quella di Civitavecchia, un invaso piccolo che raccoglie la spazzatura di alcuni comuni limitrofi. Ne occorrerebbero molte di più. Anche con alti livelli di raccolta differenziata (che non ci sono) rimane sempre una piccola percentuale di scarti da mandare in discarica. Dal Campidoglio accusano la Regione di averne chiuse alcune prima del tempo (Colleferro e Roccasecca). La Regione, invece, stigmatizza l’inerzia della Capitale. Ma chi ha davvero ragione? Orientarsi nel complesso groviglio di responsabilità è davvero difficile. Proviamo a fornirvi una guida. Tutto è cominciato nel 2014, quando dopo 40 anni è stata chiusa la discarica di Malagrotta, la grande buca che fagocitava i rifiuti della Capitale. Il problema è che da allora le alternative non sono state trovate. 

 

Alla Regione spetta il compito di analizzare i flussi, prevedere come varieranno nel tempo, fornire le linee guida per la realizzazione degli impianti e indicare per ogni territorio i gap impiantistici per il trattamento e lo stoccaggio delle diverse frazioni di rifiuto. Tutte informazioni che confluiscono nel piano rifiuti regionale. In Lazio fino ad agosto 2020 vigeva ancora quello del 2012, un documento superato dalla storia. Questa è una delle principali accuse che il Campidoglio muove alla Regione. Una critica corretta, ma che non vincolava in alcun modo Ama che avrebbe comunque potuto realizzare gli impianti necessari. E, invece, dopo 5 anni di amministrazione il primo piano industriale che prevede di realizzarne di nuovi è stato approvato solo pochi mesi fa. Nota importante: non prevede nessuna nuova discarica, la questione più urgente.

 

In realtà un sito il Campidoglio lo aveva indicato a fine 2019. Un’ex cava in località Monte Carnevale. Non lontano da Malagrotta. I lavori per quell’invaso però sono bloccati. Pochi mesi fa Virginia Raggi ha ritirato in autotutela la decisione dopo che il proprietario dell’area, Valter Lozza, è stato arrestato insieme alla responsabile della direzione Rifiuti regionale Flaminia Tosini con le accuse di corruzione, concussione e turbativa d’asta. D’allora non è stata indicata una nuova area. 

 

Il Campidoglio sostiene inoltre che la Regione avrebbe chiuso due discariche con volumetrie residue prima del tempo: quella di Colleferro, la più grande rimasta nel Lazio, e quella di Roccasecca, in provincia di Frosinone. La critica è vera in parte, ma la chiusura di Colleferro – dicono da via Cristoforo Colombo – era stata promessa da anni per incompatibilità ambientale. Quella di Roccasecca, invece, è sempre di proprietà di Lozza che dopo l’arresto ha ritirato la richiesta per la realizzazione di un quinto invaso. In un recente incontro, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani hanno discusso della possibilità di requisirla. Un’ipotesi per adesso rimasta sulla carta.

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