i rifiuti in tribunale

Raggi riapre la discarica di Albano. Ma a decidere è (come sempre) il Tar

Gianluca De Rosa

Il sindaco del comune nel quale Virginia vuole spedire la monnezza impugnerà l'ordinanza. Ancora una volta sarà il tribunale a decidere cosa ne sarà dei rifiuti romani. Una lunga storia puzzolente 

La vicenda dei rifiuti a Roma e nel Lazio vive dentro un paradosso. Nessuno decide. E alla fine ci pensa sempre il Tar. Virginia Raggi accusa Nicola Zingaretti e la Regione Lazio di “non aver fatto nulla per 8 anni” e di aver lasciato le province laziali senza impianti. Da via Cristoforo Colombo, al contrario, accusano il Campidoglio di non aver fatto nulla in cinque anni e di ostinarsi a non indicare un sito per la nuova discarica. Eppure ogni volta che qualcuno prova ad agire si finisce in tribunale. E le cose, quando si parla di monnezza, alla fine le decidono sempre sentenze, ordinanze e inchieste. L’ultimo capitolo è andato in scena questa mattina. Come annunciato da giorni la sindaca Virginia Raggi ha firmato un’ordinanza – nella veste di prima cittadina della Città Metropolitana – con lo scopo di riaprire la discarica di Albano per 180 giorni. Un provvedimento emergenziale. Dalla firma all’annuncio del ricorso sono passati solo pochi minuti. In fondo, il sindaco di Albano, Massimiliano Borrelli, lo aveva anche lui già annunciato: “Il nostro territorio non si piegherà”. E quindi rieccoci: a Roma nelle prossime settimane ci saranno ancora cumuli di monnezza impilati accanto ai cassonetti? Lo deciderà il tribunale amministrativo.

 

Ma quella della discarica di Albano è solo l’ultima vicenda di una storia puzzolente costellata di decisioni non prese che si muove al ritmo battuto dalle aule di tribunale. Solo qualche mese fa era stato sempre il Tar ad essere decisivo. Con una sentenza breve, su ricorso del Campidoglio, aveva annullato un’altra ordinanza, quella firmata da Nicola Zingaretti, che imponeva alla Capitale di realizzare “uno o più impianti di trattamento e una o più discariche sul suo territorio”. Sia chiaro, nessuna interferenza nel merito. La sentenza spiegava che per imporre una cosa del genere la Regione aveva uno strumento specifico: i poteri sostitutivi, ovvero il commissariamento della Capitale. Ma nessuno, sulla monnezza, vuole prendersi le proprie responsabilità fino in fondo.

 

Prima ancora, alcuni mesi fa, a fermare la costruzione della nuova discarica di Roma a Monte Carnevale, area all’interno dei confini comunali, non lontana da Malagrotta, indicata dal Campidoglio a fine 2019 dopo un infinito braccio di ferro politico con la Regione, ci aveva pensato un’inchiesta penale.  La procura di Roma aveva arrestato il proprietario dell’area Valter Lozza, insieme alla dirigente responsabile dei rifiuti regionali Flaminia Tosini con le accuse di corruzione, concussione e turbativa d’asta. Ma a ben vedere anche la vicenda che è all’origine delle crisi cicliche della spazzatura romana, la chiusura della grande discarica di Malagrotta, l’ha decisa un tribunale. Questa volta europeo. Anche se in questo caso la presa d’atto politica ha anticipato la sentenza. La discarica ha chiuso a ottobre 2013, mentre la decisione europea è arrivata nel 2014 (ma l’indagine era iniziato molto prima, nel 2009). La Corte di Giustizia europea condannava l’Italia per aver violato a Malagrotta e in altre sei discariche regionali le direttive sul trattamento dei rifiuti. Dopo quella decisione, in tempi diversi, chiusero anche tutte le alle altre discariche toccate dalla sentenza (Colleferro, Bracciano, Guidonia, Latina). Adesso in tutto il Lazio ne sono rimaste solo due (Viterbo e Civitavecchia). Da allora, insomma, nuove soluzioni non sono state trovate. Quando c’è da chiudere i tribunali aiutano, per aprire nuovi impianti serve la politica ed è, quindi, molto più complicato.

 

 

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