Venezia e la telenovela delle Grandi Navi
Il decreto Draghi ben lontano dal potersi considerare “definitivo”, la salvaguardia della Laguna e quella del lavoro. La "fine" della passerella davanti San Marco delle navi da crociera è l'occasione per far diventare la città l’emblema del nuovo rapporto tra ambiente, salute ed economia
Venezia 2022. Chissà cosa penserà il crocierista distratto quando, affacciandosi all’oblò della sua cabina vista mare – pagata in offerta lo stesso prezzo di quella interna – a segnare le coordinate dell’arrivo nel porto della città più bella del mondo troverà le torce fiammeggianti della Versalis in luogo del dorato Arcangelo Gabriele posto sulla sommità del parón de casa, il campanile di San Marco.
Se non sarà troppo concentrato sull’allyoucaneat, si accorgerà di trovarsi a Porto Marghera, circondato da stabilimenti industriali, molti dei quali in dismissione (come quello stesso di Versalis), in uno degli approdi diffusi e provvisori che dovranno sostituire, non appena riconvertiti all’accoglienza passeggeri, il terminal della Marittima nel cuore di Venezia. Il Bacino marciano solo un lontano ricordo, il tappeto blu del canale della Giudecca off limits per sempre.
Sono gli effetti del decreto varato dal Consiglio dei ministri il 13 luglio scorso, che dal 1° agosto bandisce in via definitiva le grandi navi da crociera dalle vie d’acqua sulle quali si affaccia il gotico fiorito di Palazzo Ducale, ora dichiarate dallo stesso decreto “monumento nazionale”. Divieto di navigazione dunque davanti a San Marco per le navi di più di 25mila tonnellate o 180 metri di lunghezza, 35 di larghezza o con emissioni superiori allo 0,1 per cento di zolfo. "Giornata storica", gioisce il ministro della Cultura Franceschini. "La lotta continua, ma con una vittoria in più" commentano dal Comitato No Grandi Navi, mentre per gli operatori portuali si tratta di "una decisione gravissima che impatta su almeno 4000 famiglie".
Il provvedimento del governo Draghi, solo l’ultimo di una lunga serie, ha il merito di indicare una strada, ma è ben lontano dal potersi considerare “definitivo”: le grandi navi rimarranno all’interno dei confini della laguna tutelata dall’UNESCO - entreranno attraverso la bocca di porto di Malamocco, il canale dei Petroli, fino agli approdi diffusi a Porto Marghera - finché non verrà realizzato un porto off-shore in mare. Questione di anni insomma (il bando è appena stato pubblicato), ma quanti? L’attesa potrebbe essere così lunga da considerarsi definitiva, soprattutto dopo che si saranno spesi quasi 170 milioni di euro per l’adeguamento delle banchine “temporanee” a Marghera.
La strada dei provvedimenti per dirimere la questione grandi navi a Venezia è lastricata di atti mancati. L’odissea normativa era cominciata all’indomani dell’affondamento della Costa Concordia all’isola del Giglio, nel 2012, quando improvvisamente il mondo si accorse che la storia dei naufragi non era terminata cento anni prima con quello del Titanic. Sull’onda emotiva della tragedia tirrenica venne approvato il decreto Clini-Passera, che imponeva lo stop al passaggio dal Bacino di San Marco delle navi con stazza superiore alle 40mila tonnellate. Non una sola nave ha però cambiato il suo percorso a causa di quel decreto: senza approdi alternativi alla Marittima, prevaleva lo status quo. E gli approdi non c’erano.
Dopo un fugace blitz del Comitato Interministeriale, che nel 2014 provò a bloccare le grandi navi dal consueto tragitto a pochi metri dalle fondamenta veneziane (bocca di porto del Lido, bacino di San Marco, canale della Giudecca, Marittima), tempestivamente annullato dal TAR, l’annosa questione si è trascinata stancamente e tatticamente, con alcuni sussulti, fino ad oggi, di fatto privilegiando l’aspetto economico-occupazionale sulla sostenibilità ambientale della crocieristica oversize in rapporto alle fragilità veneziane.
Oggi più che mai però, nessuna soluzione può prescindere dal contemperare la salvaguardia di Venezia, la tutela dell’ecosistema lagunare e l’impatto e le ricadute economiche del settore crocieristico, anche nelle diverse forme che potrebbe assumere, nel territorio veneziano. Una sfida che solo pochi anni fa poteva sembrare improba e che nessuno, di fatto, ha affrontato veramente a livello politico: ora, con gli occhi dell’improcrastinabile transizione ecologica ed economica, non può più essere rimandata.
Forse a capirlo per primi sono stati proprio gli attivisti del movimento No Grandi Navi, che tra le proprie file annoverano adesioni trasversali e internazionali, quando hanno aperto interessanti momenti di confronto con il comitato “concorrente”, quello di Venezia Lavora che raccoglie le istanze dei circa 4.000 lavoratori portuali che senza grandi navi - dopo aver già accusato lo stop pandemico di oltre 17 mesi - vedrebbero ridimensionate enormemente le proprie mansioni. Contrapporre ambiente e lavoro, sostengono i No Nav, alle porte del Green New Deal appare quantomeno anacronistico.
Lo spettro dell’UNESCO aleggia sulle tribolate questioni veneziane - non solo grandi navi, ma anche spopolamento, overtourism, crisi climatica - con l’organizzazione internazionale pronta a inserire Venezia nella blacklist dei siti in pericolo, come Damasco e Aleppo falcidiate dalla guerra: così la mossa del governo Draghi pare quantomeno aver dato un segnale che la questione è stata presa in carico.
Il decreto potrebbe sembrare la fine di una telenovela arrivata almeno alla decima stagione, e conclusa con la soddisfazione del Comitato che dal 2012 colleziona manifestazioni, multe e prime pagine internazionali dichiarando l’incompatibilità dei colossi del mare con l’ecosistema veneziano.
Invece no. Perché la partita sulle grandi navi a Venezia è più grande e meno banale del semplice sì o no, dentro o fuori, più profonda delle prescrizioni su lunghezze e tonnellaggio e perfino più eclatante dei clamorosi inchini disposti a sfidare la sorte e la probabilità a pochi metri da palazzi centenari, rive pullulanti di turisti e persino qualche abitazione degli ultimi veneziani rimasti in città: nel 2019 la MSC Opera ha speronato il battello River Countess, miracolosamente senza vittime, mentre solo poche settimane dopo, la Costa Delizia ha sfiorato la collisione con le rive dei Giardini della Biennale.
Il futuro della portualità veneziana ha bisogno di essere progettato con lungimiranza, tenendo conto di tutte le variabili dell’equazione, dalle certezze scientifiche agli impedimenti logistici, dalla rimodulazione dei mercati turistici ai nuovi approcci di sostenibilità economica e ambientale. Il passaggio delle grandi navi in laguna sposta sedimenti, provoca erosione dei fondali, modifica la morfologia lagunare. Il livello del mare è destinato irrimediabilmente ad aumentare, chiamando in causa sempre più spesso il Mose, il sistema di dighe mobili costato miliardi di euro, congestionando il traffico marittimo con finestre sempre più ristrette di accesso alla laguna, che andranno a sommarsi agli inevitabili rallentamenti dovuti alla promiscuità dell’utilizzo del canale dei Petroli sia per navi commerciali che passeggeri, nel caso dovessero allungarsi i tempi di permanenza degli approdi “temporanei” a Marghera.
In ballo c’è il futuro non solo di una città troppo preziosa per essere schiacciata da programmi fuori tempo massimo, che non può più permettersi di cercare di fare le cose “come prima”, ma anche il destino di un simbolo che avrebbe tutte le carte in regola per diventare l’emblema nel mondo di un nuovo rapporto tra ambiente, salute ed economia sostenibile.