Ikram Nazih è un altro caso Zaki
Il silenzio della comunità islamica sul sequestro di una ragazza di 23 anni in Marocco. La sua colpa? Aver ironizzato in maniera lieve sul Corano
Ecco un articolo che non avrei mai pensato di scrivere. Questa è la storia. Ikram Nazih, una ragazza di 23 anni con doppia cittadinanza italiana e marocchina, studentessa universitaria vissuta quasi sempre a Vimercate, è partita per il Marocco in visita a parenti. Il 20 giugno all’aeroporto di Marrakech è stata letteralmente sequestrata e messa in carcere. La sua colpa? No, non è una terrorista né una foreign fighter. Semplicemente due anni prima con un post satirico aveva un po’ ironizzato, in modo lieve, su una sura del Corano, la 108, che parla dell’abbondanza paragonandola all’abbondanza di whisky. Era un post molto diffuso che girava allora ma era stata denunciata da un’associazione islamica del Marocco. E’ stata subito processata e condannata a tre anni e mezzo di carcere per blasfemia, tre anni e mezzo, non una semplice multa o una ramanzina. Quello che urta in questa storia non è tanto la repressione religiosa messa in atto dalla monarchia marocchina. Il Marocco passa per essere uno dei paesi islamici più moderati, ma quel mondo è molto abile nella dissimulazione e l’atteggiamento conciliante nei confronti dell’occidente non esclude affatto di trattare come sudditi chi ci vive o chi, come la sfortunata ragazza, ha la ventura di cadere nelle loro grinfie.
Urta di più la dichiarazione resa pubblica subito dopo la condanna della ragazza da Davide Piccardo rappresentante del Caim, il Coordinamento delle associazioni islamiche. Ha detto che la ragazza doveva essere liberata perché non ha fatto del male a nessuno? No di certo. Ha scritto che “la blasfemia è una colpa grave nei confronti di Dio e verso i credenti” e di “non mettere in discussione il diritto-dovere dello stato marocchino di procedere in giudizio per reprimerla”. Dopo questa premessa ha aggiunto, bontà sua, che tuttavia il re Mohamed VI in occasione della festività islamiche della Festa del sacrificio che si celebra il 20 luglio potrebbe, come avviene di solito in favore di molti detenuti, graziarla perché la poverina “non ha ricevuto nessuna formazione ed educazione islamica” avendo vissuto in un paese europeo e “nella speranza che faccia tawba e cioè pentimento”.
Piccardo afferma quindi, questo è il suo principio, che la libertà di pensiero e di coscienza sono inconcepibili e chi, nato musulmano, non presta fede cieca e assoluta e scherzi su un libro scritto più di un migliaio di anni fa che per molti può essere tutto ma per qualche altro diventare niente o molto poco, deve essere severamente punito. Come blasfemo, appunto. L’unica via di uscita che Piccardo riesce a immaginare in un caso così vergognoso per il mondo cui appartiene è la grazia sovrana, il re del resto è il rappresentante di Allah, concetto che ci riporta direttamente all’assolutismo del Medioevo quando i sovrani avevano, in assenza di qualsiasi diritto dei cittadini, potere di vita e di morte, di perdonare o di punire e consegnare al boia, sempre in nome di Dio.
Certamente Piccardo non ha mai letto Voltaire grazie al quale ha preso forma la libertà di pensiero e non ha mai sentito parlare della Rivoluzione francese che ha posto fine ai poteri assoluti in Francia e in tutta Europa ed è stata l’origine dello sviluppo politico, culturale ed economico di quelle società di cui ora tanti marocchini, compresi gli iscritti alla sua associazione, in Italia come negli altri paesi, ambiscono a godere dei benefici. E migliaia dei quali ospitiamo senza chiedere loro di che religione siano. Ragionando come Piccardo sarebbero processati e in carcere in Italia migliaia di scrittori, giornalisti di satira e di giovani che usano i social e spesso criticano o dileggiano il cristianesimo, l’islam o qualsiasi altra ideologia o religione: non basterebbero a contenerli tutte le carceri già sovraffollate del nostro paese. Ma per nostra fortuna non è così. Non bisogna dimenticare che il Caim e le altre associazioni islamiche presenti in Italia nel 2007 hanno, con grande pompa, sottoscritto la Carta dei valori, promossa dall’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, che descrive i diritti e doveri degli stranieri nell’ottica di una progressiva integrazione. In quella Carta, che è un impegno con il nostro paese, all’articolo 23 è scritto che ciascuno ha il diritto di avere una fede religiosa o di non averla e di cambiare religione e quindi di respingere la religione in cui è nato e le associazioni firmatarie si sono impegnate a riconoscere questi princìpi. Princìpi che devono valere per tutti e in qualsiasi luogo. Ma sembra che non sia così e che l’accordo sia stato firmato dall’associazione che fa capo a Piccardo con la riserva mentale di non rispettarlo. Anche questa una dissimulazione, dunque, per ottenere consensi e riconoscimenti.
Di Ikram Nazih, i giornali hanno parlato poco, pochissimo, eppure è un caso non meno grave di quello di Patrick Zaki. Quello che è certo è che non ci saranno sit-in dinanzi ai consolati marocchini. Il mondo progressista ha da tempo rinunciato alla difesa dei valori di libertà affascinato da sempre dai totalitarismi purché esotici. E oggi dalla cancel culture, e dal wokismo, l’antirazzismo razzista. I nostri islamo-goscisti, intellettuali, centri sociali e simili, al pari di quelli in Francia ove un’altra ragazza di 17 anni, Mila, è costretta a vivere in trappola come un topo perché anche lei aveva fatto un post “non corretto”, stanno bene attenti a non prendere le distanze dall’islam perché in fondo è il nemico dei loro nemici e cioè degli odiati americani e del corrotto occidente in genere. Le associazioni islamiche in Italia sostengono un più facile diritto alla cittadinanza italiana per i loro associati. Hanno diritto e forse ragione di farlo ma, spiace dirlo, almeno i loro capi sono indietro di secoli.
C’è solo da sperare che Piccardo rifletta su quello che ha detto. E soprattutto che il nostro governo faccia qualcosa, subito.
*magistrato al tribunale di Milano