La modella, il principe, il Pos: ultimo tango a Linguaglossa

Michele Masneri

Tra il Gattopardo, Fellini e Fantozzi, la storia della modella bielorussa Tanya Yashenko e del (forse) principe siciliano Giacomo Bonanno di Linguaglossa tiene "col fiato sospeso" al rientro dalle vacanze

La questione è sempre quella, antica e complicata. “Meglio nobili che ignobili”, come tuonava anni fa in un suo claim elettorale un vero principe romano, “Lillio” Sforza Ruspoli?

  

E non si sa che parti prendere e come guardare alla vicenda che un po’ ha conquistato tutti nella coda di vacanze natalizie; forse presi dal Covid, tra un antigenico e un molecolare, eccoci a sognare davanti alla storia della modella manco russa, bielorussa, Tanya Yashenko, e il (forse) principe siciliano Giacomo Bonanno di Linguaglossa.

 

La vicenda, per chi non l’avesse subita: il blasonato cinquantenne soffre pene d’amore e insieme pecuniarie per la bella bielorussa, che sostiene che l’amore vada premiato, suggellato, monetizzato, dunque gira, secondo ricostruzione giornalesca, con un Pos da viaggio, da attivare alla bisogna. Poi agogna e riceve macchine, e un bed and breakfast a piazza di Spagna (ché il mattone alla fine è sempre il mattone. Si chiama “Fellini suites”). I due si prendono, si querelano, si lasciano, si riappacificano, capire chi denuncia chi e chi stalkera chi è ormai impossibile.

  

Al netto dell'umana compassione (siamo tutti un po' in burnout, ormai, si sa), rimane il fascino dell’aristocrazia, addirittura siciliana: la meglio. Bonanno di Linguaglossa! Senti come attacca bene (cit.) Ma come in tutte le saghe nobiliari che si rispettino, il “plot twist” è sempre il parente che chiede la rettifica. Quello non è il vero principe, sono io. Così a Dagospia ha scritto il vero principe, Giuseppe e non Giacomo, che sarebbe solo un lontano parente. Del ramo cadetto. La questione è sempre quella: come ci si regola, tra ascendenti e discendenti e agnati e cognati? So’ problemi: non essendoci più la monarchia ognuno fa un po’ come gli pare (la repubblica ha già tanti pensieri). Nello specifico, a Roma, dove una delle poche attività ancora fiorenti è quella di aggiungere predicati nobiliari e abbassare “De” in “de”, col favore delle tenebre. Conti duchi e marchesi sospetti fioriscono infatti in quella “giungla tiepida dove ci si può nascondere  così bene” (Marcello Mastroianni).

  

Del resto, se prosperano lenoni, fregnacciari, ladri, se le foglie non vengono raccolte da quando era sindaco un Doria Pamphilj, che sarà mai se qualcuno si  fabbrica un anello alla cavaliera con sopra uno stemma? Già, lo stemma, un bel gatto nero, questo dei Bonanno, “in campo oro”, e non deve aver portato benissimo all’erede vero o fasullo.  “L’avevo detto io, del resto alla Caccia non s’era mai visto”, dice al Foglio un vero aristocratico e socio, e nella giungla araldica romana tiepida essere iscritti alla Caccia, il più antico circolo nobiliare, che per paradosso sta nel palazzo Borghese, è l’unica certezza. “Sono signore della più alta nobiltà borghese” come diceva il geometra Calboni di certe escort dell’Ippopotamo a via Veneto. Fellini suites, ancora.

 

Ma la bielorussa che si definisce sul suo Instagram “journalist and hotelier” si ritrae a Mykonos e a Dubai, e dal Salumaio e alla Langosteria, e per ultima nella nuova Soho House di Roma, un circolo della Caccia aggiornato ai tempi nostri: sempre sola e con amiche, mai col povero principe, e soprattutto mai a Linguaglossa, comune di 5.080 abitanti, informa Wikipedia, provincia di Catania, patrono S. Egidio. Peccato, potrebbe essere una principessa di Linguaglossa mica male, tipo la moglie léttone del principe Tomasi di Lampedusa, psicanalista nerboruta ed eccentrica che tanti ancora ricordano. Ma lei non è psicanalista e lui  non è principe, dice il vero principe, che è pure “ambasciatore presso lo SMOM, il supremo militare ordine di Malta” (anche su LinkedIn: “Ambassador SMOM to UN Agencies Rome Based presso Sovereign Order of Malta”). Ammazza. Però, tanto, a Roma, chi controlla. L’unica città in cui i veri nobili si divertono un sacco coi loro imitatori. Altrove, invece, fece scalpore un’usurpazione. I veri Secco d’Aragona, antica stirpe guerriera, non si sono mai più riavuti da quella loro omonima, Daniela del Secco d’Aragona, già manicure ed estetista che qualche tempo fa si inventò parente. Ma a Roma, nella giungla tiepida, quando scende la sera, ogni gatto è gattopardo (specialmente se nero). 

 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).